27 febbraio 2011
Se non c’è gioia, non va bene
“Quando aveva circa sette anni, mio figlio Owen si innamorò della E Street Band di Bruce Springsteen, in particolare di Clarence Clemmons, il corpulento sassofonista. Owen decise che avrebbe imparato a suonare come Clarence. Io e mia moglie ne fummo divertiti e compiaciuti. […]
Per Natale regalammo a Owen un sax tenore e un corso di lezioni con Gordon Bowie, uno dei musicisti della nostra zona. […]
Sette mesi più tardi proposi a mia moglie di sospendere le lezioni di sax, se Owen fosse stato d’accordo. Lui lo fu, e con palpabile sollievo. Non aveva avuto il coraggio di confessarlo, visto che era stato proprio lui a chiedere il sax, ma sette mesi gli erano bastati perché si rendesse conto che, per quanto amasse il suono potente di Clarence Clemmons, il sax non era cosa per lui: Dio non gli aveva donato quel particolare talento.
Io lo sapevo, non perché Owen avesse smesso di esercitarsi, ma perché lo faceva solo nei periodi che gli aveva assegnato il signor Bowie: mezz’ora dopo la scuola per quattro giorni la settimana, più un’ora durante il weekend.
Owen aveva imparato le note e le scale, non gli mancavano memoria, polmoni e buona coordinazione tra occhi e mani, ma non lo avevamo mai sentito partire per una tangente, sorprendere se stesso con qualcosa di nuovo, bearsi della propria musica. E appena finiva gli esercizi, lo strumento ritornava ne suo astuccioe lì restava fino alla prossima lezione o alla prossima esercitazione. Ciò che ne deducevo io era che tra il sax e mio figlio non si sarebbe mai stabilito rapporto di gioco; sarebbe stato per sempre un provare e riprovare. Non bene. Se non c’è gioia, non va bene. È meglio dedicarsi ad altro, dove le scorte di talento siano superiori e sia più alto il grado di divertimento.
Il talento toglie significato all’idea stessa di esercizio; quando si trova qualcosa per il quale si ha talento vero, la si fa (qualunque cosa sia) fino a farsi sanguinare le dita o cascare gli occhi dalla testa. Anche se non c’è nessuno ad ascoltare (o a leggere o a guardare), ogni sessione è un’esibizione di bravura, perché il creatore ne è felice”.
Stephen King, On Writing, Sperling&Kupfer, 2001, pp. 145-146
[Il grassetto è mio]
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