Quando evitare le definizioni "è cosa buona e giusta"
Ossia in questo caso. Non ho alcuna intenzione di infilarmi in quel ginepraio (tanto di moda) che è diventato il dibattito su scrittura creativa, scrittori, come diventare cosa e via dicendo. Grazie mille, passo! Che di guru della definizione ne abbiamo già tanti.
Anche perché, per inciso, mi sento più affine al versante saggista-giornalista che non a quello narratore-poeta.
Sapete che vi dico? Forse uscire dal coma, con tutto il lungo processo rigenerativo che implica la guarigione (un vero e proprio ricostruirsi, cominciando pressoché da zero), mi ha fatto vedere il “mondo scrivere” con occhi più chiari. E sempre più spesso quello che leggo in giro mi sembrano dibattiti vuoti, che non portano a nulla. Sarà perché ho eliminato i fronzoli, le zavorre, le sovrastrutture. Sono tornata all’essenza, al nocciolo, alla quidditas (che ha un suono fantastico, ma che quando me la spiegavano a scuola ero sempre lì lì per capire e poi, zac, il senso mi sfuggiva ogni volta). Al “sugo del sale”, per dirla con Guccini.
Non critico il confronto o il dibattito. Reputo ancora essenziale riflettere sulle cose, interrogare, mettere in discussione, sfidare, cercare, approfondire. Continuo a pensare che riflessione, ricerca e introspezione siano ottimi strumenti quando ci aiutano a procedere nella nostra evoluzione personale, qualunque essa sia, e che diventino pericolosi quando invece ce ne allontanano.
Quello che però sento molto vivo - e che mi sforzo di far emergere piano piano per dargli respiro - è il senso pratico delle cose. La teoria senza la pratica rischia di essere solo vuota speculazione, esercizio mentale fine a se stesso. D’altra parte anche la pratica senza la teoria è zoppa.
Se dovessi scegliere un motto, ora sarebbe “Sperimentare e recuperare il gusto del fare”. Ecco perché in questo momento per me, prima di tutto, è importante fare qualcosa per il solo piacere di farlo, sentire scorrere sotto la pelle quel brivido eccitante e seducente che dà il “mettere mano” a qualcosa che appaga. Questo alla fin fine è il “fuoco sacro”. Nulla più.
E, checché se ne dica, è un fuoco che non si spegne. Può affievolirsi, covare nella cenere, restare sopito. Ma non si spegne. Se è inerte va risvegliato e alimentato, se è prorompente va incanalato e guidato.
Ci sono volte in cui va riconosciuto o scoperto e altre in cui invece ha bisogno di crescere e maturare. Ecco allora che, da questa prospettiva, lo spirito di ricerca, la discussione, il confronto e il dibattito acquistano un senso, diventano un modo per evolvere, sviluppare le proprie capacità, conoscere nuove idee, esplorare nuovi percorsi, per migliorare se stessi e l’ambiente in cui viviamo. Un giorno alla volta.
Ordunque, rivista la mia scala di valori, sfrondato i rami secchi, recuperato una visione limpida, eccomi qui a cercare di miscelare concretezza e idealismo in una ricetta diversa. Se migliore o peggiore non so, non l’ho ancora sperimentata. Si vedrà. Ma è una ricetta che cresce con me e se trovo un nuovo ingrediente da aggiungere all’ultimo momento… e sia. Senza troppe fisime.
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28 febbraio 2011
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