26 maggio 2014

Acquistare meno (libri) non significa leggere di meno


Questo è un punto importante che oggi ho proprio voglia di chiarire.

I media spesso ci informano, dati alla mano, che noi italiani siamo un popolo che non legge. A dimostrazione di questo assunto si citano, appunto, dei dati. Ed è proprio qui che il meccanismo (comunicativo) a volte si inceppa.

I dati di per sé non sono significativi, ma acquistano un senso solo se contestualizzati e interpretati nel modo corretto. Sempre che le domande alla base del sondaggio siano state progettate e poste in modo consono.

Ora: mettere in correlazione il dato (reale, certo) che le vendite di libri cartacei sono diminuite, con la percentuale di libri letti dai singoli, non solo è metodologicamente errato, ma è eticamente scorretto.
Meno libri acquistati non significa affatto che siano diminuiti anche i lettori.

La diminuzione di lettori va dimostrata in altro modo.
Per avere una visione "scientifica" del problema in questione, bisogna infatti analizzare (e soprattutto riportare nelle notizie) molti dati, tra cui, per esempio, quelli derivati dalle biblioteche (numero di iscritti, percentuali di libri presi a prestito), che solo in qualche raro caso vengono citati.
O ancora: tenere conto di quante opere vengono ordinate o scaricate online, per esempio, può essere un dato economico interessante per gli editori, ma non dice molto a proposito dei lettori.

Attenzione quindi alle news che si leggono: se nelle notizie vengono riportati solo dati parziali, che forniscono un'idea incompleta della realtà e - forse - in modo subdolo tentano di influenzare l'opinione pubblica verso l'acquisto (e quindi il consumo), piuttosto che verso la riflessione sul leggere, o se implicitamente si insinua una correlazione tra vendite e numero dei lettori, c'è qualcosa che non va.
Cercate fonti (o giornalisti) più attendibili e seri per farvi un'idea.

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