Domenica mattina. Seduta al tavolo di cucina leggo mentre mia madre prepara il pranzo. Trovo una frase interessante che desidero sottolineare. Mi serve una matita, ma la mia non si vede nei paraggi. Mi alzo e, continuando a leggere, mi dirigo distrattamente verso la mensola in camera. Pesco a caso dalla mug che uso come portamatite e ritorno in cucina, sempre concentrata sulla lettura.
“Sarebbe bello poterla suonare e scoprire che musica è”.
Mia madre è divertita e curiosa. Io perplessa: non avevo còlto. Seguo allora la direzione del suo sguardo: la matita.
Si tratta di una matita che acquistai anni fa a Pisa in un negozio di oggetti in carta decorata a mano: è rivestita con una carta spessa che riproduce uno spartito musicale blu notte su fondo bianco avorio.
L’ho sempre considerata una decorazione molto bella per una matita. L’ho sempre considerata solo una decorazione molto bella per una matita.
Mia madre aveva visto di più. Era arrivata all’essenza, con semplicità: quella era prima di tutto musica. Non nella sua forma sonora, più immediata e primitiva, ma in quella scritta, più misteriosa e astratta. Simboli silenziosi, frammenti di suono a cui nessuno ha per ora dato forma.
Forse non sapremo mai che melodia riproduce quella carta, ma a volte basta un altro occhio per farci “vedere” davvero.
22 marzo 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento