5 marzo 2011

Progettare il cambiamento


“Un fatto è lasciare il lavoro, un fatto è perderlo o, peggio, fuggire. Distinzione piuttosto significativa. […]

Io sono sempre stato convinto che la felicità sia come un pranzo al sacco, di quelli che mettiamo nello zaino al mattino per poi andare a fare una bella scampagnata: ce la portiamo dietro di noi, da casa, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo. Alla felicità non andiamo mai incontro, non la troviamo a destinazione. Non sono i luoghi a renderci tristi e demotivati, o felici e pieni di allegria. Siamo noi a essere felici o tristi in quei luoghi (spesso rendendoli tristi o felici intorno a noi)! […]

Se si prova il bisogno di fuggire, beh, la cattiva notizia è che dobbiamo restare lì e lavorare fino a essere in equilibrio lì, cioè fino a invertire la rotta del nostro mondo senza mutare il mondo intorno a noi. […]

Non si va incontro all’esercito avversario col cuore di chi ha appena perduto la sua ultima battaglia. Non è un buon viatico. Non sarebbe felice, non sarebbe sereno chi affrontasse un’avventura nuova e impegnativa come una rivoluzione della propria vita e delle regole che la determinano, pensando (a torto o a ragione) di aver fallito nella vita precedente. […]

Prima dobbiamo rialzarci, fare bene un altro tratto di strada, rasserenarci e poi, semmai, cambiare. […]

Io ricordo un periodo difficile sul lavoro, e non facevo che pensare di mollare tutto. Stavo cercando una via di fuga, non stavo progettando il cambiamento. Nei momenti in cui riuscivo a essere sincero con me stesso, capivo che era voglia di evadere, di tirare la saracinesca per non vedere più i miei problemi. E questo non è cambiare, progredire, bensì essere esauriti”.

[Il grassetto è mio]

Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere, 2009, pp. 78-82

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