Quando l’ispirazione non è un espediente ma un alibi
Se dunque in alcuni casi l’ispirazione può essere vista come un (falso) espediente, in altri assume più la connotazione dell’alibi (utilizzo il termine “ispirazione” intendendo sia la sua presenza - “sono ispirato e dunque scrivo” - sia la sua mancanza - “non sono ispirato e dunque non lo faccio”).
In questo contesto il non essere in “stato di grazia” diventa una scusa per nascondere qualcosa o nascondersi da qualcosa, per non affrontare noi stessi o gli altri: può essere la pigrizia del “cominciare a…”, o la riluttanza ad affrontare il confronto con un modello, spesso ideale, ma che risulta schiacciante per noi, la delusione del non piacere, l’insicurezza del momento, l’incertezza del giudizio altrui o ancora il timore del nostro censore interiore. Giriamola come ci pare, ma il risultato è che non si scrive.
Io invece credo fermamente che ogni occasione e ogni stato d’animo hanno in sé la potenzialità per farci scrivere. Spetta a noi cogliere l’opportunità che ci viene offerta e far germogliare il seme.
Letto in questa chiave non essere ispirato perché non si è dell’umore giusto diventa un finto problema perché è proprio la diversità (in questo caso l’umore diverso) ad essere uno stimolo in più.
La differenza di status, se accettata, permette al “fuoco sacro” di emergere vitale e libero, con modalità, spesso originali e inaspettate, che potrebbero anche sorprenderci per la piega particolare che assumono man mano che si compongono sulla carta.
Ecco arrivato il ribaltamento di prospettiva: da “oggi mi sento xxx e quindi non scrivo” a “oggi scrivo proprio perché mi sento xxx”.
E qui mi rendo conto di un fraintendimento abbastanza comune. Sentirsi xxx non significa per forza parlarne! Si può scrivere di tutto e sempre, solo che si scriverà in modo diverso se invece che yyy ci si sente xxx. Tutto qui.
Esempio pratico. Un piatto di maccheroni al pomodoro.
È la prima cosa che mi è venuta in mente. Potete sostituire la pasta con il telecomando del decoder, il bicchiere di plastica dimenticato sullo scaffale con un residuo di Coca di ieri, la matita HB con la gomma sul retro o quello che vi pare. Il senso non cambia.
Ok, ho il mio piatto di pasta al sugo in testa. E sono le 8 del mattino.
Questi sono i dati. Ora vediamo come procedere.
Visto che sono le 8 del mattino potrei interpretare questa improvvisa visione come un segno che sono affamata.
Mi si aprono diverse possibilità. Parlare del mio stato d’animo xxx (la fame): come mi sento quando ho fame, quali sono le mie reazioni emotive alla fame, come reagisco alla fame degli altri e così via; oppure agganciarmi al motivo per cui ho fame (per esempio perché ho saltato la cena o perché sono a dieta).
Ma, come dicevo prima, questa è solo una delle possibilità e sentirsi xxx non significa necessariamente parlarne (anche perché se sostituisco la fame al dolore per la perdita di un figlio o alla rabbia per il furto dell’auto o a una delusione di un caro amico parlarne potrebbe risultare difficile).
Una seconda possibilità, quindi, è di lasciare che il mio mood xxx parli per me.
Potrei quindi approfittare dell’acquolina per descrivere il mio piatto di pasta: che tipo di pasta è? Maccheroni. E se fossero pappardelle fatte a mano? Di quelle ruvide che trattengono il sugo così bene? E che dire del sugo? Pomodoro. Ok, ma com’è questo sugo? Passata semplice? Pomodoro e basilico? Pomodorini a tocchetti con un soffritto di cipolla? Ci metto il parmigiano o il pecorino?
Ecco che il mio stato d’animo ha trasformato una semplice idea in un qualcosa di più articolato e magari mi viene pure voglia di scrivere la ricetta a un’amica o inventare una mia personale variante.
Pensate ora a una situazione completamente diversa. Sostituisco la fame con i postumi di un’indigestione. Decido di non focalizzarmi sulla descrizione emotiva del mio status ma lo utilizzo come filtro per guardare il reale. Come mi appare questa volta il mio piatto di pasta? Sarà una porzione abbondante come quella che ho mangiato ieri sera? O sarà ridotta al minimo per la legge del contrappasso? Con la pancetta o senza?
Se invece sono arrabbiata per il furto dell’auto potrei essere preda di una fame ossessivo-compulsiva. Il mio piatto di maccheroni allora diventa un piatto di pasta, non m’importa quale, purché si possa mangiare, il sugo è un sugo, anzi, la passata di pomodoro versata nel piatto direttamente dalla bottiglia. Niente tovaglia o tovaglietta. Un piatto sul tavolo nudo. Meglio ancora, un piatto in mano davanti alla tele.
Ecco quindi che il cerchio si chiude e io ho scritto comunque, anche se all’inizio credevo di essere dell’umore sbagliato.
Finora ho parlato della scrittura considerandola come una passione "passatempo". Nel prossimo post faccio un passo in più e vi parlo di come questo cambio di prospettiva è indispensabile quando si deve scrivere, ossia quando si scrive per lavoro.
Alla prossima!
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13 marzo 2011
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