Christopher Brown, Parco nazionale di Denali, 27 aprile 2010.
www.nationalgeographic.com
25 marzo 2011
22 marzo 2011
Svelare cose nascoste
Domenica mattina. Seduta al tavolo di cucina leggo mentre mia madre prepara il pranzo. Trovo una frase interessante che desidero sottolineare. Mi serve una matita, ma la mia non si vede nei paraggi. Mi alzo e, continuando a leggere, mi dirigo distrattamente verso la mensola in camera. Pesco a caso dalla mug che uso come portamatite e ritorno in cucina, sempre concentrata sulla lettura.
“Sarebbe bello poterla suonare e scoprire che musica è”.
Mia madre è divertita e curiosa. Io perplessa: non avevo còlto. Seguo allora la direzione del suo sguardo: la matita.
Si tratta di una matita che acquistai anni fa a Pisa in un negozio di oggetti in carta decorata a mano: è rivestita con una carta spessa che riproduce uno spartito musicale blu notte su fondo bianco avorio.
L’ho sempre considerata una decorazione molto bella per una matita. L’ho sempre considerata solo una decorazione molto bella per una matita.
Mia madre aveva visto di più. Era arrivata all’essenza, con semplicità: quella era prima di tutto musica. Non nella sua forma sonora, più immediata e primitiva, ma in quella scritta, più misteriosa e astratta. Simboli silenziosi, frammenti di suono a cui nessuno ha per ora dato forma.
Forse non sapremo mai che melodia riproduce quella carta, ma a volte basta un altro occhio per farci “vedere” davvero.
“Sarebbe bello poterla suonare e scoprire che musica è”.
Mia madre è divertita e curiosa. Io perplessa: non avevo còlto. Seguo allora la direzione del suo sguardo: la matita.
Si tratta di una matita che acquistai anni fa a Pisa in un negozio di oggetti in carta decorata a mano: è rivestita con una carta spessa che riproduce uno spartito musicale blu notte su fondo bianco avorio.
L’ho sempre considerata una decorazione molto bella per una matita. L’ho sempre considerata solo una decorazione molto bella per una matita.
Mia madre aveva visto di più. Era arrivata all’essenza, con semplicità: quella era prima di tutto musica. Non nella sua forma sonora, più immediata e primitiva, ma in quella scritta, più misteriosa e astratta. Simboli silenziosi, frammenti di suono a cui nessuno ha per ora dato forma.
Forse non sapremo mai che melodia riproduce quella carta, ma a volte basta un altro occhio per farci “vedere” davvero.
20 marzo 2011
Rosaconfetto
Rosaconfetto è un libro. È un libro per bambini (forse più per bambine) uscito negli anni ‘70. L’ho ritrovato ieri, scampato, come altri per fortuna, all’allagamento della cantina.
Non l’ho mai dimenticato, anche se sono stata costretta a rinchiuderlo in cantina.
Mi piaceva. Mi è sempre piaciuto, ancora prima di conoscere la storia, ancora prima di comprendere la storia, ancora prima di saper leggere. Prima di tutto.
Perché le illustrazioni parlano da sole, con quei colori pastello così intensi, i gialli caldi, i grigi e i rosa, le sfumature che addolciscono i tratti decisi.
Perché io in quella storia mi ci riconoscevo, tutta quanta, dalla A alla Z.
All’inizio c’erano solo le immagini a creare uno scenario vivo e a raccontare un mondo in cui essere diversi è sbagliato, essere diversi è un demerito invece che un pregio, perché per essere belli e apprezzati bisogna essere tutti uguali, conformarsi agli stereotipi dei padri.
Poi sono arrivate le parole, prima ascoltate, poi lette in tutta indipendenza.
Rosaconfetto racconta di un’elefantina che, a dispetto del titolo, si chiama Pasqualina. È un personaggio che ha il coraggio di ribellarsi alla tradizione, ai ruoli imposti dal branco, trova la forza di prendersi la sua libertà, anche a costo di andare contro i genitori. Perché lei vuole essere se stessa, esprimersi in base alla sua natura di elefante e non in base a vecchie e logore consuetudini. E, grazie al suo esempio, trascina con sé tutte le giovani elefantesse, cambiando per sempre la storia del suo popolo.
Oggi l’ho riletto. E ancora una volta mi ci sono riconosciuta.
Adela Turin e Nella Bosnia, Rosaconfetto, Dalla parte delle bambine, 1975
Non l’ho mai dimenticato, anche se sono stata costretta a rinchiuderlo in cantina.
Mi piaceva. Mi è sempre piaciuto, ancora prima di conoscere la storia, ancora prima di comprendere la storia, ancora prima di saper leggere. Prima di tutto.
Perché le illustrazioni parlano da sole, con quei colori pastello così intensi, i gialli caldi, i grigi e i rosa, le sfumature che addolciscono i tratti decisi.
Perché io in quella storia mi ci riconoscevo, tutta quanta, dalla A alla Z.
All’inizio c’erano solo le immagini a creare uno scenario vivo e a raccontare un mondo in cui essere diversi è sbagliato, essere diversi è un demerito invece che un pregio, perché per essere belli e apprezzati bisogna essere tutti uguali, conformarsi agli stereotipi dei padri.
Poi sono arrivate le parole, prima ascoltate, poi lette in tutta indipendenza.
Rosaconfetto racconta di un’elefantina che, a dispetto del titolo, si chiama Pasqualina. È un personaggio che ha il coraggio di ribellarsi alla tradizione, ai ruoli imposti dal branco, trova la forza di prendersi la sua libertà, anche a costo di andare contro i genitori. Perché lei vuole essere se stessa, esprimersi in base alla sua natura di elefante e non in base a vecchie e logore consuetudini. E, grazie al suo esempio, trascina con sé tutte le giovani elefantesse, cambiando per sempre la storia del suo popolo.
Oggi l’ho riletto. E ancora una volta mi ci sono riconosciuta.
Adela Turin e Nella Bosnia, Rosaconfetto, Dalla parte delle bambine, 1975
17 marzo 2011
Francobolli fantasy dal Regno Unito
Geniale iniziativa delle poste britanniche quella di stampare una serie di francobolli (sì , pare che esistano ancora) "a tema" fantasy.
I soggetti? I personaggi magici delle saghe letterarie più famose del Regno: Le cronache di Narnia di C.S. Lewis, il ciclo bretone di King Arthur, i personaggi del Mondo Disco di Terry Pratchett e, naturalmente, l'immancabile mondo di Harry Potter di J.K. Rowling.
Magical Realms è il titolo della collezione.
Le foto le trovate qui.
Il motivo dell'iniziativa, invece, sul sito ufficiale della Royal Mail.
I soggetti? I personaggi magici delle saghe letterarie più famose del Regno: Le cronache di Narnia di C.S. Lewis, il ciclo bretone di King Arthur, i personaggi del Mondo Disco di Terry Pratchett e, naturalmente, l'immancabile mondo di Harry Potter di J.K. Rowling.
Magical Realms è il titolo della collezione.
Le foto le trovate qui.
Il motivo dell'iniziativa, invece, sul sito ufficiale della Royal Mail.
E-book questo sconosciuto? Una guida chiara e semplice, in italiano, da scaricare sul pc
Dedicato a chi compie i primi passi nel "mondo e-book".
Ci hanno pensato quelli di Finzioni: una guida in italiano, aggiornata al 15 ottobre 2010, semplice e chiara, per rispondere alle domande più comuni di chi vorrebbe saperne di più. Da lettori per lettori.
Per farvi un'idea, ecco l'indice:
- Che cos'è un ebook?
- Come scegliere un lettore?
- Come funziona il mercato degli ebook?
- Come cambia il modo di leggere?
- Cosa possiamo aspettarci dal futuro?
Loro la definiscono così: "Una breve guida al mondo degli ebook e degli ereader, pensata e scritta per chi non ne sa (quasi) nulla e vuole farsi un’idea. Niente roba da smanettoni, solo qualche consiglio da lettori a lettori!"
(eFFe, ebook HYPE!, p. 1)
Potete scaricarla qui.
Se invece volete leggere il godibilissimo post, in cui si spiega come nasce la guida, andate qui.
15 marzo 2011
Fuoco sacro – 5
Quando scrivere è un mestiere. Vivace con brio
Se invece che per passione si scrive per professione le cose iniziano a complicarsi. Ed è a questo punto che il cambio di prospettiva che vi ho proposto dà i suoi frutti. Mettetelo pure alla prova: resisterà! E vi toglierà dagli impicci in più di un’occasione. Potrei scrivere post interi sull’argomento, ma la strategia migliore è una sola: provarlo.
Non scoraggiatevi se le prime volte non vi riesce bene, fa parte del gioco. Prima bisogna allenarsi un po’: il come e il quando è a vostra discrezione.
Dalla teoria alla pratica.
Pensate di dover scrivere un articolo. Il caso più semplice (ma anche il meno frequente ahimè!) è che abbiate un ampio margine di libertà e autonomia nel decidere, per esempio, l’argomento. Supponete di avere una vostra rubrica (su un sito, un blog nel caso siate blogger di professione, un magazine, un quotidiano locale o il giornale della parrocchia). In questo caso l’elemento “obbligatorio” a cui attenersi sarà l’argomento generale della rubrica, per esempio Il tuo giardino, Pet therapy, Arredare low cost e via dicendo. I temi dei vari articoli invece possono venir decisi da voi di volta in volta oppure concordati insieme a un responsabile di redazione. In ogni caso, seppur con tutte le varianti, siete comunque autosufficienti. Se poi la rubrica l’avete scelta voi perché è un argomento che vi appassiona… benvenuti in paradiso!
Ciò non toglie che quel pezzo voi lo dobbiate scrivere e consegnare (o pubblicare), perché avete un contratto e delle scadenze da rispettare. E a chi vi paga o a chi vi legge non importa un fico secco se il cane ha appena fatto la pipì sul tappeto, la zia non può andare a prendere il bambino a scuola, la macchina è dal meccanico, fuori diluvia e avete appena chiuso la cornetta in faccia all’ennesimo centralinista del call center di turno che voleva vendervi un delizioso vino in lattine da 10 litri! Voi quel pezzo lo dovete scrivere. E in fretta.
In genere però le cose non sono proprio così idilliache: spesso l’argomento non lo avete scelto voi, potrebbe anche essere un tema di cui non conoscete nulla e che quindi richiede del tempo per documentarsi a dovere, avete un numero minimo e massimo di battute (e credetemi che parlare di meditazione trascendentale in sole 800 battute è un’impresa pari alla scalata dell’Everest), la scadenza è sempre urgentissima ma ve la comunicano la mattina per la sera, dovete essere accattivanti ma non pressanti, autorevoli ma non noiosi, precisi ma non pedanti, originali ma senza troppa creatività, SEO compliant se lavorate per il web e, naturalmente, ricordarvi di dire cose sensate. Senza contare che potreste essere costretti a lavorare in un open space con altre 10 persone, i telefoni che squillano, gente che entra e che esce, la musica…
E l’ispirazione? Ultima porta a destra.
A meno che…
Se riuscite a trasformare uno svantaggio in un vantaggio, se ribaltate la situazione e scrivete “nonostante…”, perché è da quel “nonostante” che potrete mettervi nella giusta lunghezza d’onda, allora avrete vinto la sfida, perché vi sarete sciolti dai condizionamenti, avrete trasformato un atto che dipende dall’esterno in uno che dipende esclusivamente da voi. Sarete liberi.
E il “fuoco sacro” si accenderà ancora una volta, illuminando quello che fate e quello che siete.
Post scriptum (per una volta mi concedo il lusso di scriverlo tutto intero :))
Ho tralasciato di proposito di parlare degli “scrittori” inteso come le persone che scrivono libri. Non appartengo alla categoria e non avendo sperimentato il mestiere in prima persona riporterei solo un pensiero altrui. Meglio che quello che hanno da dire ve lo dicano loro stessi senza la mia mediazione (però, se vi interessa, potete trovare alcuni stralci che mi hanno insegnato molto in Ipse dixit e Leggendo qua e là).
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Se invece che per passione si scrive per professione le cose iniziano a complicarsi. Ed è a questo punto che il cambio di prospettiva che vi ho proposto dà i suoi frutti. Mettetelo pure alla prova: resisterà! E vi toglierà dagli impicci in più di un’occasione. Potrei scrivere post interi sull’argomento, ma la strategia migliore è una sola: provarlo.
Non scoraggiatevi se le prime volte non vi riesce bene, fa parte del gioco. Prima bisogna allenarsi un po’: il come e il quando è a vostra discrezione.
Dalla teoria alla pratica.
Pensate di dover scrivere un articolo. Il caso più semplice (ma anche il meno frequente ahimè!) è che abbiate un ampio margine di libertà e autonomia nel decidere, per esempio, l’argomento. Supponete di avere una vostra rubrica (su un sito, un blog nel caso siate blogger di professione, un magazine, un quotidiano locale o il giornale della parrocchia). In questo caso l’elemento “obbligatorio” a cui attenersi sarà l’argomento generale della rubrica, per esempio Il tuo giardino, Pet therapy, Arredare low cost e via dicendo. I temi dei vari articoli invece possono venir decisi da voi di volta in volta oppure concordati insieme a un responsabile di redazione. In ogni caso, seppur con tutte le varianti, siete comunque autosufficienti. Se poi la rubrica l’avete scelta voi perché è un argomento che vi appassiona… benvenuti in paradiso!
Ciò non toglie che quel pezzo voi lo dobbiate scrivere e consegnare (o pubblicare), perché avete un contratto e delle scadenze da rispettare. E a chi vi paga o a chi vi legge non importa un fico secco se il cane ha appena fatto la pipì sul tappeto, la zia non può andare a prendere il bambino a scuola, la macchina è dal meccanico, fuori diluvia e avete appena chiuso la cornetta in faccia all’ennesimo centralinista del call center di turno che voleva vendervi un delizioso vino in lattine da 10 litri! Voi quel pezzo lo dovete scrivere. E in fretta.
In genere però le cose non sono proprio così idilliache: spesso l’argomento non lo avete scelto voi, potrebbe anche essere un tema di cui non conoscete nulla e che quindi richiede del tempo per documentarsi a dovere, avete un numero minimo e massimo di battute (e credetemi che parlare di meditazione trascendentale in sole 800 battute è un’impresa pari alla scalata dell’Everest), la scadenza è sempre urgentissima ma ve la comunicano la mattina per la sera, dovete essere accattivanti ma non pressanti, autorevoli ma non noiosi, precisi ma non pedanti, originali ma senza troppa creatività, SEO compliant se lavorate per il web e, naturalmente, ricordarvi di dire cose sensate. Senza contare che potreste essere costretti a lavorare in un open space con altre 10 persone, i telefoni che squillano, gente che entra e che esce, la musica…
E l’ispirazione? Ultima porta a destra.
A meno che…
Se riuscite a trasformare uno svantaggio in un vantaggio, se ribaltate la situazione e scrivete “nonostante…”, perché è da quel “nonostante” che potrete mettervi nella giusta lunghezza d’onda, allora avrete vinto la sfida, perché vi sarete sciolti dai condizionamenti, avrete trasformato un atto che dipende dall’esterno in uno che dipende esclusivamente da voi. Sarete liberi.
E il “fuoco sacro” si accenderà ancora una volta, illuminando quello che fate e quello che siete.
Post scriptum (per una volta mi concedo il lusso di scriverlo tutto intero :))
Ho tralasciato di proposito di parlare degli “scrittori” inteso come le persone che scrivono libri. Non appartengo alla categoria e non avendo sperimentato il mestiere in prima persona riporterei solo un pensiero altrui. Meglio che quello che hanno da dire ve lo dicano loro stessi senza la mia mediazione (però, se vi interessa, potete trovare alcuni stralci che mi hanno insegnato molto in Ipse dixit e Leggendo qua e là).
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13 marzo 2011
Fuoco sacro - 4
Quando l’ispirazione non è un espediente ma un alibi
Se dunque in alcuni casi l’ispirazione può essere vista come un (falso) espediente, in altri assume più la connotazione dell’alibi (utilizzo il termine “ispirazione” intendendo sia la sua presenza - “sono ispirato e dunque scrivo” - sia la sua mancanza - “non sono ispirato e dunque non lo faccio”).
In questo contesto il non essere in “stato di grazia” diventa una scusa per nascondere qualcosa o nascondersi da qualcosa, per non affrontare noi stessi o gli altri: può essere la pigrizia del “cominciare a…”, o la riluttanza ad affrontare il confronto con un modello, spesso ideale, ma che risulta schiacciante per noi, la delusione del non piacere, l’insicurezza del momento, l’incertezza del giudizio altrui o ancora il timore del nostro censore interiore. Giriamola come ci pare, ma il risultato è che non si scrive.
Io invece credo fermamente che ogni occasione e ogni stato d’animo hanno in sé la potenzialità per farci scrivere. Spetta a noi cogliere l’opportunità che ci viene offerta e far germogliare il seme.
Letto in questa chiave non essere ispirato perché non si è dell’umore giusto diventa un finto problema perché è proprio la diversità (in questo caso l’umore diverso) ad essere uno stimolo in più.
La differenza di status, se accettata, permette al “fuoco sacro” di emergere vitale e libero, con modalità, spesso originali e inaspettate, che potrebbero anche sorprenderci per la piega particolare che assumono man mano che si compongono sulla carta.
Ecco arrivato il ribaltamento di prospettiva: da “oggi mi sento xxx e quindi non scrivo” a “oggi scrivo proprio perché mi sento xxx”.
E qui mi rendo conto di un fraintendimento abbastanza comune. Sentirsi xxx non significa per forza parlarne! Si può scrivere di tutto e sempre, solo che si scriverà in modo diverso se invece che yyy ci si sente xxx. Tutto qui.
Esempio pratico. Un piatto di maccheroni al pomodoro.
È la prima cosa che mi è venuta in mente. Potete sostituire la pasta con il telecomando del decoder, il bicchiere di plastica dimenticato sullo scaffale con un residuo di Coca di ieri, la matita HB con la gomma sul retro o quello che vi pare. Il senso non cambia.
Ok, ho il mio piatto di pasta al sugo in testa. E sono le 8 del mattino. Questi sono i dati. Ora vediamo come procedere.
Visto che sono le 8 del mattino potrei interpretare questa improvvisa visione come un segno che sono affamata.
Mi si aprono diverse possibilità. Parlare del mio stato d’animo xxx (la fame): come mi sento quando ho fame, quali sono le mie reazioni emotive alla fame, come reagisco alla fame degli altri e così via; oppure agganciarmi al motivo per cui ho fame (per esempio perché ho saltato la cena o perché sono a dieta).
Ma, come dicevo prima, questa è solo una delle possibilità e sentirsi xxx non significa necessariamente parlarne (anche perché se sostituisco la fame al dolore per la perdita di un figlio o alla rabbia per il furto dell’auto o a una delusione di un caro amico parlarne potrebbe risultare difficile).
Una seconda possibilità, quindi, è di lasciare che il mio mood xxx parli per me.
Potrei quindi approfittare dell’acquolina per descrivere il mio piatto di pasta: che tipo di pasta è? Maccheroni. E se fossero pappardelle fatte a mano? Di quelle ruvide che trattengono il sugo così bene? E che dire del sugo? Pomodoro. Ok, ma com’è questo sugo? Passata semplice? Pomodoro e basilico? Pomodorini a tocchetti con un soffritto di cipolla? Ci metto il parmigiano o il pecorino?
Ecco che il mio stato d’animo ha trasformato una semplice idea in un qualcosa di più articolato e magari mi viene pure voglia di scrivere la ricetta a un’amica o inventare una mia personale variante.
Pensate ora a una situazione completamente diversa. Sostituisco la fame con i postumi di un’indigestione. Decido di non focalizzarmi sulla descrizione emotiva del mio status ma lo utilizzo come filtro per guardare il reale. Come mi appare questa volta il mio piatto di pasta? Sarà una porzione abbondante come quella che ho mangiato ieri sera? O sarà ridotta al minimo per la legge del contrappasso? Con la pancetta o senza?
Se invece sono arrabbiata per il furto dell’auto potrei essere preda di una fame ossessivo-compulsiva. Il mio piatto di maccheroni allora diventa un piatto di pasta, non m’importa quale, purché si possa mangiare, il sugo è un sugo, anzi, la passata di pomodoro versata nel piatto direttamente dalla bottiglia. Niente tovaglia o tovaglietta. Un piatto sul tavolo nudo. Meglio ancora, un piatto in mano davanti alla tele.
Ecco quindi che il cerchio si chiude e io ho scritto comunque, anche se all’inizio credevo di essere dell’umore sbagliato.
Finora ho parlato della scrittura considerandola come una passione "passatempo". Nel prossimo post faccio un passo in più e vi parlo di come questo cambio di prospettiva è indispensabile quando si deve scrivere, ossia quando si scrive per lavoro.
Alla prossima!
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Se dunque in alcuni casi l’ispirazione può essere vista come un (falso) espediente, in altri assume più la connotazione dell’alibi (utilizzo il termine “ispirazione” intendendo sia la sua presenza - “sono ispirato e dunque scrivo” - sia la sua mancanza - “non sono ispirato e dunque non lo faccio”).
In questo contesto il non essere in “stato di grazia” diventa una scusa per nascondere qualcosa o nascondersi da qualcosa, per non affrontare noi stessi o gli altri: può essere la pigrizia del “cominciare a…”, o la riluttanza ad affrontare il confronto con un modello, spesso ideale, ma che risulta schiacciante per noi, la delusione del non piacere, l’insicurezza del momento, l’incertezza del giudizio altrui o ancora il timore del nostro censore interiore. Giriamola come ci pare, ma il risultato è che non si scrive.
Io invece credo fermamente che ogni occasione e ogni stato d’animo hanno in sé la potenzialità per farci scrivere. Spetta a noi cogliere l’opportunità che ci viene offerta e far germogliare il seme.
Letto in questa chiave non essere ispirato perché non si è dell’umore giusto diventa un finto problema perché è proprio la diversità (in questo caso l’umore diverso) ad essere uno stimolo in più.
La differenza di status, se accettata, permette al “fuoco sacro” di emergere vitale e libero, con modalità, spesso originali e inaspettate, che potrebbero anche sorprenderci per la piega particolare che assumono man mano che si compongono sulla carta.
Ecco arrivato il ribaltamento di prospettiva: da “oggi mi sento xxx e quindi non scrivo” a “oggi scrivo proprio perché mi sento xxx”.
E qui mi rendo conto di un fraintendimento abbastanza comune. Sentirsi xxx non significa per forza parlarne! Si può scrivere di tutto e sempre, solo che si scriverà in modo diverso se invece che yyy ci si sente xxx. Tutto qui.
Esempio pratico. Un piatto di maccheroni al pomodoro.
È la prima cosa che mi è venuta in mente. Potete sostituire la pasta con il telecomando del decoder, il bicchiere di plastica dimenticato sullo scaffale con un residuo di Coca di ieri, la matita HB con la gomma sul retro o quello che vi pare. Il senso non cambia.
Ok, ho il mio piatto di pasta al sugo in testa. E sono le 8 del mattino. Questi sono i dati. Ora vediamo come procedere.
Visto che sono le 8 del mattino potrei interpretare questa improvvisa visione come un segno che sono affamata.
Mi si aprono diverse possibilità. Parlare del mio stato d’animo xxx (la fame): come mi sento quando ho fame, quali sono le mie reazioni emotive alla fame, come reagisco alla fame degli altri e così via; oppure agganciarmi al motivo per cui ho fame (per esempio perché ho saltato la cena o perché sono a dieta).
Ma, come dicevo prima, questa è solo una delle possibilità e sentirsi xxx non significa necessariamente parlarne (anche perché se sostituisco la fame al dolore per la perdita di un figlio o alla rabbia per il furto dell’auto o a una delusione di un caro amico parlarne potrebbe risultare difficile).
Una seconda possibilità, quindi, è di lasciare che il mio mood xxx parli per me.
Potrei quindi approfittare dell’acquolina per descrivere il mio piatto di pasta: che tipo di pasta è? Maccheroni. E se fossero pappardelle fatte a mano? Di quelle ruvide che trattengono il sugo così bene? E che dire del sugo? Pomodoro. Ok, ma com’è questo sugo? Passata semplice? Pomodoro e basilico? Pomodorini a tocchetti con un soffritto di cipolla? Ci metto il parmigiano o il pecorino?
Ecco che il mio stato d’animo ha trasformato una semplice idea in un qualcosa di più articolato e magari mi viene pure voglia di scrivere la ricetta a un’amica o inventare una mia personale variante.
Pensate ora a una situazione completamente diversa. Sostituisco la fame con i postumi di un’indigestione. Decido di non focalizzarmi sulla descrizione emotiva del mio status ma lo utilizzo come filtro per guardare il reale. Come mi appare questa volta il mio piatto di pasta? Sarà una porzione abbondante come quella che ho mangiato ieri sera? O sarà ridotta al minimo per la legge del contrappasso? Con la pancetta o senza?
Se invece sono arrabbiata per il furto dell’auto potrei essere preda di una fame ossessivo-compulsiva. Il mio piatto di maccheroni allora diventa un piatto di pasta, non m’importa quale, purché si possa mangiare, il sugo è un sugo, anzi, la passata di pomodoro versata nel piatto direttamente dalla bottiglia. Niente tovaglia o tovaglietta. Un piatto sul tavolo nudo. Meglio ancora, un piatto in mano davanti alla tele.
Ecco quindi che il cerchio si chiude e io ho scritto comunque, anche se all’inizio credevo di essere dell’umore sbagliato.
Finora ho parlato della scrittura considerandola come una passione "passatempo". Nel prossimo post faccio un passo in più e vi parlo di come questo cambio di prospettiva è indispensabile quando si deve scrivere, ossia quando si scrive per lavoro.
Alla prossima!
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11 marzo 2011
L'estetica del font. Composizione tipografica manuale o digitale?
Comporre a mano al tempo dell'ebook: dal blog Who's the Reader un ottimo spunto di riflessione sull'importanza, ancora attuale, della composizione della pagina.
Per non perdere la bellezza e il piacere di un font "tradizionale" in un mondo completamente digitale.
Per non perdere la bellezza e il piacere di un font "tradizionale" in un mondo completamente digitale.
8 marzo 2011
Luce nel buio dalle pagine di un libro
Oggi è stata una brutta giornata. Proprio brutta. Di quelle in cui sembra che la terra si sbricioli sotto i piedi e ti senti inghiottita nel baratro. Capita.
Quando succede, svuoto la mente, mi metto davanti agli scaffali della mia libreria e mi lascio ispirare.
Stasera la mano si è diretta verso il libro di Carol Adrienne, Lo scopo della tua vita, uno dei libri che mi sono più cari e che porterei sempre con me.
L'ho preso, mi sono seduta sul letto e l'ho aperto a caso. All'interno contiene delle citazioni. Ecco le due che sono uscite.
"Il futuro non deve essere necessariamente una ripetizione del passato. Sovente siamo frenati da una scarsità di immaginazione che concepisce il futuro soltanto come rimpasto di eventi o esperienze passati che già ci sono noti.
Persistere nel tentativo di spiegare l'ignoto nei termini di ciò che conosciamo può condurre a una cieca ripetizione di schemi insoddisfacenti che limitano la crescita e restringono le possibilità".
Frances E. Vaughan, Risvegliare l'intuizione, Cittadella, 1986, p. 195
"Credo che la felicità e la gioia siano lo scopo della vita.
Se sappiamo che il futuro sarà molto buio o doloroso, perdiamo la nostra determinazione a vivere. Perciò la vita è qualcosa che si basa sulla speranza... Una qualità innata tra gli esseri senzienti, particolarmente tra gli esseri umani, è il bisogno o la forte inclinazione a incontrare o a provare la felicità e ad evitare la sofferenza e il dolore. Dunque l'intera base della vita umana è l'esperienza a vari livelli della felicità. Raggiungere o provare la felicità è lo scopo della vita. "
Sua Santità il Dalai Lama
Che sospiro di sollievo!!
Quando succede, svuoto la mente, mi metto davanti agli scaffali della mia libreria e mi lascio ispirare.
Stasera la mano si è diretta verso il libro di Carol Adrienne, Lo scopo della tua vita, uno dei libri che mi sono più cari e che porterei sempre con me.
L'ho preso, mi sono seduta sul letto e l'ho aperto a caso. All'interno contiene delle citazioni. Ecco le due che sono uscite.
"Il futuro non deve essere necessariamente una ripetizione del passato. Sovente siamo frenati da una scarsità di immaginazione che concepisce il futuro soltanto come rimpasto di eventi o esperienze passati che già ci sono noti.
Persistere nel tentativo di spiegare l'ignoto nei termini di ciò che conosciamo può condurre a una cieca ripetizione di schemi insoddisfacenti che limitano la crescita e restringono le possibilità".
Frances E. Vaughan, Risvegliare l'intuizione, Cittadella, 1986, p. 195
"Credo che la felicità e la gioia siano lo scopo della vita.
Se sappiamo che il futuro sarà molto buio o doloroso, perdiamo la nostra determinazione a vivere. Perciò la vita è qualcosa che si basa sulla speranza... Una qualità innata tra gli esseri senzienti, particolarmente tra gli esseri umani, è il bisogno o la forte inclinazione a incontrare o a provare la felicità e ad evitare la sofferenza e il dolore. Dunque l'intera base della vita umana è l'esperienza a vari livelli della felicità. Raggiungere o provare la felicità è lo scopo della vita. "
Sua Santità il Dalai Lama
Che sospiro di sollievo!!
5 marzo 2011
Progettare il cambiamento
“Un fatto è lasciare il lavoro, un fatto è perderlo o, peggio, fuggire. Distinzione piuttosto significativa. […]
Io sono sempre stato convinto che la felicità sia come un pranzo al sacco, di quelli che mettiamo nello zaino al mattino per poi andare a fare una bella scampagnata: ce la portiamo dietro di noi, da casa, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo. Alla felicità non andiamo mai incontro, non la troviamo a destinazione. Non sono i luoghi a renderci tristi e demotivati, o felici e pieni di allegria. Siamo noi a essere felici o tristi in quei luoghi (spesso rendendoli tristi o felici intorno a noi)! […]
Se si prova il bisogno di fuggire, beh, la cattiva notizia è che dobbiamo restare lì e lavorare fino a essere in equilibrio lì, cioè fino a invertire la rotta del nostro mondo senza mutare il mondo intorno a noi. […]
Non si va incontro all’esercito avversario col cuore di chi ha appena perduto la sua ultima battaglia. Non è un buon viatico. Non sarebbe felice, non sarebbe sereno chi affrontasse un’avventura nuova e impegnativa come una rivoluzione della propria vita e delle regole che la determinano, pensando (a torto o a ragione) di aver fallito nella vita precedente. […]
Prima dobbiamo rialzarci, fare bene un altro tratto di strada, rasserenarci e poi, semmai, cambiare. […]
Io ricordo un periodo difficile sul lavoro, e non facevo che pensare di mollare tutto. Stavo cercando una via di fuga, non stavo progettando il cambiamento. Nei momenti in cui riuscivo a essere sincero con me stesso, capivo che era voglia di evadere, di tirare la saracinesca per non vedere più i miei problemi. E questo non è cambiare, progredire, bensì essere esauriti”.
[Il grassetto è mio]
Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere, 2009, pp. 78-82
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4 marzo 2011
Adesso basta
Spinoso. Parlare del libro di Simone Perotti è decisamente spinoso. Ma ci provo ugualmente perché, se preso dal verso giusto, è un testo soddisfacente. Ripeto, basta saperlo prendere.
In caso contrario non avrei nessun timore a definirlo fastidiosamente ipocrita.
br> Parto dal titolo, anzi, dalla copertina, un capolavoro di marketing strategico: le due parti del sottotitolo (corpo identico, maiuscolo, bianco su campo verde mare) accuratamente poste come apertura e chiusura di copertina, il titolo (stesso stile dei sottotitoli ma di corpo più grande) ben leggibile nella parte alta della pagina. Questo è “l’ordine di comparizione” dei tre elementi:
- Lasciare il lavoro e cambiare vita
- Adesso basta
- Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta
Niente da dire, un inizio che invoglia (tra parentesi, il nome dell’autore, in corsivo, bianco su campo blu, quasi scompare, si nota appena, apparentemente appoggiato lì con noncuranza).
Presi all’amo da tanta semplice complessità si passa a leggere la quarta di copertina, con relativa recensione: “Ne abbiamo abbastanza. Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti, ma come uscirne? Cambiare vita da soli sembra una scelta troppo faticosa. Addirittura impossibile. Invece no. Il downshifting (“scalare marcia, rallentare il ritmo”) è un fenomeno sociale che interessa milioni di persone nel mondo (complice anche la crisi). […] La rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi […]”.
Sublime. Puro marketing. Ci sono tutti gli elementi per farci dire di sì (eh, la persuasione è un’arte).
Avete notato come la parolina magica (“crisi”) viene inserita con apparente indifferenza per sfruttare l’incertezza del momento? E come si fa leva sul numero (“milioni”, una parola che evoca non ben identificate moltitudini di persone, oltre che di soldi) per stimolare inconsce reazioni? E poi la chicca finale, l’autonomia e… la tanto anelata libertà.
Peccato che poi tutte le belle promesse della quarta svaniscano come neve al sole. Perché l’autore non solo è stato un manager per 19 anni (cosa citata in toccata e fuga nella penultima riga della biografia in quarta, accuratamente infilata dopo un elenco di libri pubblicati – ecchissenefrega se è anche uno scrittore – progetti web e, cito, “qualche altro lavoro occasionale”), ma è stato uno dei dirigenti più attivi (e strapagati aggiungo) della “Milano da bere” degli anni ’80. Il classico “giovane rampante intraprendente” che fa “balzi da gigante nei debutti in società”, come cantava all’epoca un giovane Luca Barbarossa (almeno da quello che emerge leggendolo).
Facile la vita così! Vallo a dire a chi deve vivere con mille euro al mese (se non di meno) che fare il downshifting è possibile! A chi magari non ha nemmeno una laurea, figuriamoci uno o più master (come presuppone l’autore). O a chi la laurea ce l’ha ma vive di co.co.pro! E te lo dice pure che il suo libro è dedicato a chi guadagna almeno 3.500 euro (netti) al mese!!
Ecco. Siamo arrivati al giro di boa. Se ci si ferma qui, “arrogante, antidemocratico, urticante, irritante, indisponente” sono solo alcuni degli aggettivi adatti a descrivere questo libro.
Ma se si riesce a sospendere il fastidio e a dimenticarsene per un po’, se si riesce a leggere le parole per quelle che sono, senza pregiudizi di casta, oh, allora si scopre tutto un altro mondo!
Perché l’idea di fondo è veramente buona, perché Simone Perotti ha l’onestà intellettuale di dire le cose come stanno, con molta chiarezza, e mette in guardia contro i pericoli delle approssimazioni e della superficialità. Perché il suo piano strategico è ben studiato, è lungimirante e accettabilissimo anche per persone non particolarmente agiate. E offre molti spunti decisamente interessanti.
Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere, 2009
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Recensioni
Oggi ho inaugurato questa nuova categoria, nata in un modo speciale.
Vi racconto la sua storia.
Uscire da un coma non è facile, riprendersi la propria identità (ammesso di ritrovarla) lo è ancora di meno, accettare il fatto che una parte di te non esiste più richiede una notevole dose di coraggio, convincersi a priori che ci sarà qualcos’altro a sostituire quello che è andato perduto è quasi ai confini della realtà, trovare la strada di casa e tornare padroni della propria vita è classificabile nella sfera del miracoloso. Eppure è possibile.
Io sono fortunata perché a me è successo due volte. La prima volta è durissima, perché ancora non sai, ma la seconda a confronto è una passeggiata, perché almeno sai cosa fare. Non sai il come (troppo facile no?) , ma almeno il cosa lo sai.
“Se ho ritrovato me stessa una volta, posso farlo anche la seconda”. E così è stato.
Qualche post fa dicevo che per me è stata un’esperienze molto creativa, perché sono eventi che ti mettono di fronte a un dato di fatto: se vuoi uscirne devi vincere sulle tue paure, rimboccarti le maniche e ricominciare. Da zero. Devi reinventarti. Prendere o lasciare. E siccome sei tornato qui sulla terra invece di disincarnarti, un motivo ci sarà. Io ho accettato la sfida.
Riprenderti in mano la vita significa accettare consapevolmente la responsabilità di recuperare le parti di te che sono sopravvissute, decidere se vanno ancora bene o se devono essere trasformate, cercare con costanza e pazienza quelle nuove (che ci sono, ma che tu ancora non vedi) riconoscerle come tue (e vi garantisco che a volte è dura), sentire che ti appartengono (e per questo ci vuole tempo) e accoglierle, coltivarle, ascoltarle, accudirle, dare loro spazio e respiro, fino a farle emergere completamente. E poi via, a miscelarle con quelle vecchie, adattarle, levigarle, combinarle in vario modo per vedere come funziona, sperimentare se un accostamento è migliore di un altro.
Le recensioni sono state il mio nuovo inizio. Di una cosa sono contenta. Che non ho mai perso il piacere e la voglia di scrivere. Ma ho dovuto riscoprirla e andarla a stanare da quella stanza buia in cui si era nascosta, nei recessi più profondi dell’anima.
Non ho più scritto per molto, moltissimo tempo. Ma ho letto. Tante cose: articoli, riviste, libri. Anche blog ovviamente.
Uno solo però è riuscito a entrare come un raggio di sole nella stanza buia. Si è infilato in un pertugio piccolo piccolo, ma ha illuminato e riscaldato.
E man mano che lo leggevo mi emozionavo di nuovo e riprendevo fiducia, nella scrittura, nel potere delle parole, nella forza delle emozioni, nella vita contenuta in quelle frasi, messe proprio in quel modo e non in un altro dei miliardi di modi possibili. E il pertugio è diventato fessura e la fessura spiraglio e lo spiraglio passaggio, finché un giorno la porta si è aperta e la stanza è stata inondata di luce. E ho scritto la mia prima recensione. E poi la seconda e la terza. Che soddisfazione!
Perché le recensioni? Perché l’amico blogger scrive delle recensioni speciali, e sono speciali perché c’è il suo cuore lì dentro. E si sente. Parole che incantano.
Le ho lette tutte, una dopo l’altra.
E ho imparato, tanto. Ho imparato a sintonizzarmi su quella frequenza, nuova per me che non mi sono mai cimentata con questa particolare forma di scrittura, ho imparato a riconoscere e valutare elementi a cui prima non davo importanza, attraverso di lui ho imparato a capire meglio cosa mi aspetto io (e/o un lettore) da una recensione.
È stato uno stimolo molto forte. E il seme ha iniziato a germogliare. Così un mattino mi sono trovata a scrivere una recensione. Breve. Niente di che. Ma l’avevo fatto. Dopo mesi di oblio avevo rimesso in moto le mie dita indolenzite su una tastiera. Se non ci fossero state le recensioni probabilmente non sarei tornata qui.
Ecco quindi come è nata questa sezione. Per ora penso di pubblicare solo recensioni “a tema”, ma non è detto che poi non ci prenda la mano e allarghi l’orizzonte.
Non mi resta che lasciarvi con un augurio di buona lettura.
Al prossimo post!
Vi racconto la sua storia.
Uscire da un coma non è facile, riprendersi la propria identità (ammesso di ritrovarla) lo è ancora di meno, accettare il fatto che una parte di te non esiste più richiede una notevole dose di coraggio, convincersi a priori che ci sarà qualcos’altro a sostituire quello che è andato perduto è quasi ai confini della realtà, trovare la strada di casa e tornare padroni della propria vita è classificabile nella sfera del miracoloso. Eppure è possibile.
Io sono fortunata perché a me è successo due volte. La prima volta è durissima, perché ancora non sai, ma la seconda a confronto è una passeggiata, perché almeno sai cosa fare. Non sai il come (troppo facile no?) , ma almeno il cosa lo sai.
“Se ho ritrovato me stessa una volta, posso farlo anche la seconda”. E così è stato.
Qualche post fa dicevo che per me è stata un’esperienze molto creativa, perché sono eventi che ti mettono di fronte a un dato di fatto: se vuoi uscirne devi vincere sulle tue paure, rimboccarti le maniche e ricominciare. Da zero. Devi reinventarti. Prendere o lasciare. E siccome sei tornato qui sulla terra invece di disincarnarti, un motivo ci sarà. Io ho accettato la sfida.
Riprenderti in mano la vita significa accettare consapevolmente la responsabilità di recuperare le parti di te che sono sopravvissute, decidere se vanno ancora bene o se devono essere trasformate, cercare con costanza e pazienza quelle nuove (che ci sono, ma che tu ancora non vedi) riconoscerle come tue (e vi garantisco che a volte è dura), sentire che ti appartengono (e per questo ci vuole tempo) e accoglierle, coltivarle, ascoltarle, accudirle, dare loro spazio e respiro, fino a farle emergere completamente. E poi via, a miscelarle con quelle vecchie, adattarle, levigarle, combinarle in vario modo per vedere come funziona, sperimentare se un accostamento è migliore di un altro.
Le recensioni sono state il mio nuovo inizio. Di una cosa sono contenta. Che non ho mai perso il piacere e la voglia di scrivere. Ma ho dovuto riscoprirla e andarla a stanare da quella stanza buia in cui si era nascosta, nei recessi più profondi dell’anima.
Non ho più scritto per molto, moltissimo tempo. Ma ho letto. Tante cose: articoli, riviste, libri. Anche blog ovviamente.
Uno solo però è riuscito a entrare come un raggio di sole nella stanza buia. Si è infilato in un pertugio piccolo piccolo, ma ha illuminato e riscaldato.
E man mano che lo leggevo mi emozionavo di nuovo e riprendevo fiducia, nella scrittura, nel potere delle parole, nella forza delle emozioni, nella vita contenuta in quelle frasi, messe proprio in quel modo e non in un altro dei miliardi di modi possibili. E il pertugio è diventato fessura e la fessura spiraglio e lo spiraglio passaggio, finché un giorno la porta si è aperta e la stanza è stata inondata di luce. E ho scritto la mia prima recensione. E poi la seconda e la terza. Che soddisfazione!
Perché le recensioni? Perché l’amico blogger scrive delle recensioni speciali, e sono speciali perché c’è il suo cuore lì dentro. E si sente. Parole che incantano.
Le ho lette tutte, una dopo l’altra.
E ho imparato, tanto. Ho imparato a sintonizzarmi su quella frequenza, nuova per me che non mi sono mai cimentata con questa particolare forma di scrittura, ho imparato a riconoscere e valutare elementi a cui prima non davo importanza, attraverso di lui ho imparato a capire meglio cosa mi aspetto io (e/o un lettore) da una recensione.
È stato uno stimolo molto forte. E il seme ha iniziato a germogliare. Così un mattino mi sono trovata a scrivere una recensione. Breve. Niente di che. Ma l’avevo fatto. Dopo mesi di oblio avevo rimesso in moto le mie dita indolenzite su una tastiera. Se non ci fossero state le recensioni probabilmente non sarei tornata qui.
Ecco quindi come è nata questa sezione. Per ora penso di pubblicare solo recensioni “a tema”, ma non è detto che poi non ci prenda la mano e allarghi l’orizzonte.
Non mi resta che lasciarvi con un augurio di buona lettura.
Al prossimo post!
Scrivi e scopri te stesso
Lo confesso: ho iniziato questo libro con scetticismo. Due gli elementi che mi hanno tratta in inganno: il titolo e il sottotitolo. Ora vi spiego perché invece questa è un’opera pregevole, che consiglio anche a chi non è particolarmente attratto dalla scrittura (più o meno creativa).
Ho acquistato il volume una decina d’anni fa, incuriosita forse proprio dal titolo. Solo l’altro giorno però mi sono decisa: un bel sospiro e ho aperto la prima pagina. E poi la seconda, la terza… Ed ecco che man mano che procedevo mi accorgevo che c’era qualcosa di diverso da quello che mi aspettavo.
Innanzitutto il titolo (italiano): Scrivi e scopri te stesso. Un sapore (vagamente) psicoanalitico, o quantomeno intimistico, un po’ diario personale, un po’ scrittura psicoterapica. Impressione confermata dal giudizio della quarta di copertina, vago quanto basta, in bilico tra “sviluppo personale” e “uso creativo del linguaggio”. Altro vestito, solita storia. E invece no.
Il titolo dell’opera originale è Write for Life (Scrivere per vivere, come spiega l’autrice stessa a p. 51 dell’edizione italiana parlando proprio dell’influenza spesso trascurata delle parole). Ecco un sapore del tutto diverso, il sale che salva la pietanza. Si scopre una poetessa e scrittrice che ha fatto dello scrivere non solo una professione, ma uno stile di vita; una donna che trasmette e tramanda “la scrittura” da 25 anni con questo credo: “Ai miei studenti non insegno un metodo, ma la possibilità di un metodo adatto a loro” (p. 13). Una donna che sa trasmettere passione e rigore, con un linguaggio talmente amicale che sembra di conoscerla da sempre.
Non un classico manuale, quindi, come vorrebbe far credere il sottotitolo italiano (che nella versione originale manca) Guida pratica alla scrittura creativa, né una “guida” alla web 2.0; niente scorciatoie o nuove teorie e nemmeno noiose indicazioni didattiche. La vita. “Semplicemente”. La sua. I suoi pensieri, il suo esempio, parola dopo parola.
Certo, gli esercizi ci sono (alla fine di ogni capitolo più un’intera parte finale di “modelli” di riferimento), ma passano quasi inosservati: chi li vuole vedere li legge e li usa, altrimenti si passa oltre. È bello lo stesso.
Perché qui non si impara tanto il “come” o il “cosa”, ma il “perché”, l’essenza dello scrivere. Senza troppe sovrastrutture o falsi idealismi. E solo dopo aver capito profondamente il senso, ci si rende conto che il “cosa” e il “come” hanno un valore diverso da quello che si credeva.
Nicki Jackowsska, Scrivi e scopri te stesso. Guida pratica alla scrittura creativa, Mondadori, 2000
Ho acquistato il volume una decina d’anni fa, incuriosita forse proprio dal titolo. Solo l’altro giorno però mi sono decisa: un bel sospiro e ho aperto la prima pagina. E poi la seconda, la terza… Ed ecco che man mano che procedevo mi accorgevo che c’era qualcosa di diverso da quello che mi aspettavo.
Innanzitutto il titolo (italiano): Scrivi e scopri te stesso. Un sapore (vagamente) psicoanalitico, o quantomeno intimistico, un po’ diario personale, un po’ scrittura psicoterapica. Impressione confermata dal giudizio della quarta di copertina, vago quanto basta, in bilico tra “sviluppo personale” e “uso creativo del linguaggio”. Altro vestito, solita storia. E invece no.
Il titolo dell’opera originale è Write for Life (Scrivere per vivere, come spiega l’autrice stessa a p. 51 dell’edizione italiana parlando proprio dell’influenza spesso trascurata delle parole). Ecco un sapore del tutto diverso, il sale che salva la pietanza. Si scopre una poetessa e scrittrice che ha fatto dello scrivere non solo una professione, ma uno stile di vita; una donna che trasmette e tramanda “la scrittura” da 25 anni con questo credo: “Ai miei studenti non insegno un metodo, ma la possibilità di un metodo adatto a loro” (p. 13). Una donna che sa trasmettere passione e rigore, con un linguaggio talmente amicale che sembra di conoscerla da sempre.
Non un classico manuale, quindi, come vorrebbe far credere il sottotitolo italiano (che nella versione originale manca) Guida pratica alla scrittura creativa, né una “guida” alla web 2.0; niente scorciatoie o nuove teorie e nemmeno noiose indicazioni didattiche. La vita. “Semplicemente”. La sua. I suoi pensieri, il suo esempio, parola dopo parola.
Certo, gli esercizi ci sono (alla fine di ogni capitolo più un’intera parte finale di “modelli” di riferimento), ma passano quasi inosservati: chi li vuole vedere li legge e li usa, altrimenti si passa oltre. È bello lo stesso.
Perché qui non si impara tanto il “come” o il “cosa”, ma il “perché”, l’essenza dello scrivere. Senza troppe sovrastrutture o falsi idealismi. E solo dopo aver capito profondamente il senso, ci si rende conto che il “cosa” e il “come” hanno un valore diverso da quello che si credeva.
Nicki Jackowsska, Scrivi e scopri te stesso. Guida pratica alla scrittura creativa, Mondadori, 2000
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