16 dicembre 2011

Omogenitorialità: in uscita un nuovo libro per far capire l'omossessualità in famiglia anche ai più piccoli


Francesca Pardi, Desideria Guicciardini, Qual è il segreto di papà?, Lo stampatello, 2011

Questo il nuovo titolo della casa editrice Lo stampatello (di cui accennai qualche tempo fa).

La recensione di Severino Colombo la potete leggere qui.

12 dicembre 2011

Dal Sol Levante

"Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai più quella persona che vi è entrata".
(Haruki Murakami)

7 dicembre 2011

The Invitation by Oriah

It doesn’t interest me
what you do for a living.
I want to know
what you ache for
and if you dare to dream
of meeting your heart’s longing.

It doesn’t interest me
how old you are.
I want to know
if you will risk
looking like a fool
for love
for your dream
for the adventure of being alive.

It doesn’t interest me
what planets are
squaring your moon...
I want to know
if you have touched
the centre of your own sorrow
if you have been opened
by life’s betrayals
or have become shrivelled and closed
from fear of further pain.

I want to know
if you can sit with pain
mine or your own
without moving to hide it
or fade it
or fix it.

I want to know
if you can be with joy
mine or your own
if you can dance with wildness
and let the ecstasy fill you
to the tips of your fingers and toes
without cautioning us
to be careful
to be realistic
to remember the limitations
of being human.

It doesn’t interest me
if the story you are telling me
is true.
I want to know if you can
disappoint another
to be true to yourself.
If you can bear
the accusation of betrayal
and not betray your own soul.
If you can be faithless
and therefore trustworthy.

I want to know if you can see Beauty
even when it is not pretty
every day.
And if you can source your own life
from its presence.

I want to know
if you can live with failure
yours and mine
and still stand at the edge of the lake
and shout to the silver of the full moon,
“Yes.”

It doesn’t interest me
to know where you live
or how much money you have.
I want to know if you can get up
after the night of grief and despair
weary and bruised to the bone
and do what needs to be done
to feed the children.

It doesn’t interest me
who you know
or how you came to be here.
I want to know if you will stand
in the centre of the fire
with me
and not shrink back.

It doesn’t interest me
where or what or with whom
you have studied.
I want to know
what sustains you
from the inside
when all else falls away.

I want to know
if you can be alone
with yourself
and if you truly like
the company you keep
in the empty moments.

By Oriah © Mountain Dreaming, from the book The Invitation published by HarperONE, San Francisco, 1999 All rights reserved

4 dicembre 2011

IMO, l'acronimo che addolcisce


IMO è un acronimo: si ottiene prendendo le iniziali delle parole che compongono l'espressione inglese "I(n) M(y) O(pinion)", che significa "a mio parere".
IMHO è una delle varianti possibili: "I(n) M(y) H(umble/Honest) O(pinion)", ossia "a mio modesto parere".

Questa sigla viene comunemente utilizzata in chat, forum, gruppi di discussione per mitigare l'assertività di alcune opinioni, pur mantenendo la propria libertà di espressione e, nel contempo, riconoscendo quella altrui.
Si tratta quindi di una convenzione tutta social che, come altre strategie, nasce dall'esigenza di dare un "tono" a una conversazione scritta, un contesto ad altissimo rischio di fraintendimento data la totale assenza del linguaggio non-verbale (quei gesti, quelle espressioni che permettono di capire le diverse sfumature di senso del discorso, al di là delle singole parole). IM(H)O è, quindi, letteralmente, un segno di rispetto.

Anche nella comunicazione informale quotidiana via mail IMO può essere molto utile: per esempio quando capita di dover dare un parere che potrebbe facilmente essere frainteso e urtare chi lo riceve.
Vi ricordate Mary Poppins? "Basta un poco di zucchero e la pillola va giù..." ;)

Semplici strategie per rendere più efficace e rispettosa la nostra comunicazione quotidiana.

- Attenzione al TUTTO MAIUSCOLO
- Cc(n): quando la differenza tra rispetto e superficialità sta in una singola lettera

25 novembre 2011

Strizzare il tubetto fino alla fine. E oltre


Ossia, come ridurre il nostro spreco quotidiano andando a prendere anche l'ultima goccia di prodotto, talmente ultima che più ultima non si può.

Non è un post di economia domestica né di riciclo-riuso-risparmio casalingo. Solo un post di comune buon senso (e anche un po' arrabbiato visto che mi è appena toccato buttare via un barattolo di balsamo non del tutto finito perché purtroppo in questo caso non c'era modo di recuperare il fondo).

La questione è molto semplice: ancora troppi dei prodotti di uso quotidiano sono confezionati in modo tale che ne resta sempre un po' all'interno, col risultato che si butta via qualcosa di utile, qualcosa che è ancora utilizzabile, qualcosa che è stato pagato.
La quantità persa dipende dalla consistenza del prodotto e dalla confezione dello stesso.
Ma nonostante tutti gli sforzi dell'industria per farci sprecare materia, comprare e spendere di più, noi possiamo fare qualcosa per aggirare l'ostacolo: recuperare tutto, ma proprio tutto, il prodotto aprendo la confezione.

Tutto qui? Sì, tutto qui. È semplice, fidatevi, basta farci l'abitudine. Sono sufficienti un cucchiaio (o un cucchiaino da gelato) e un paio di forbici.
Ecco quindi come fare:

- i tubetti di plastica morbida (quelli di creme, dentifrici, balsami e affini) vanno tagliati a metà. Noterete quantità di prodotto sia vicino al tappo (soprattutto se si tratta di confezioni da mettere "a testa in giù"), sia vicino al fondo. Se sono tubetti molto grandi è preferibile invece tagliarli in tre parti. Il cucchiaio fa il resto.
Se non utilizzate subito tutto il prodotto rimasto, potete conservarlo nel tubetto (io preferisco il fondo) ricoprendolo con la pellicola trasparente affinché non si secchi;

- i tubetti di metallo possono creare qualche difficoltà: accertatevi quindi che si possano veramente tagliare con facilità per evitare di ferirvi;

- se si tratta invece di nebulizzatori (alcune marche di deodorante per esempio hanno confezioni di questo tipo), è ancora più facile: una volta acquistata la nuova confezione, svitate il tappo del contenitore usato (lo riconoscete dalla filettatura simile a quella delle bottiglie d'acqua minerale) e recuperate il liquido trasferendolo nella nuova confezione (di solito le confezioni, anche se sono integre, non sono mai piene fino all'orlo, quindi di spazio dovrebbe essercene a sufficienza);

- lo stesso vale per le scatole di cartone di prodotti in polvere (detersivi, sale fino per esempio): basta aprirle con cautela e tresferire il residuo nella nuova scatola.

Al momento, come dicevo, non è possibile recuperare proprio tutto e alcune confezioni sono ancora "inattacabili". Ma se ci si abitua con quelle che lo permettono direi che è già un buon risultato!

21 novembre 2011

Attenzione al TUTTO MAIUSCOLO


Per una scrittura ogni giorno più consapevole

Un altro post "di pancia" per ripassare (o scoprire) una regola di netiquette tanto piccola che passa spesso inosservata.
Chissà mai che l'argomento non sia d'aiuto anche a quelle persone che "hanno imparato da sole" e che magari non conoscono ancora tutte le sfumature del linguaggio non-verbale del web.

L'argomento che oggi vi propongo è il messaggio implicito dello scrivere tutto maiuscolo.

Basta navigare qualche minuto su Facebook per rendersi conto di quante persone siano inconsapevoli di quello che realmente stanno comunicando.
Comunicando, non scrivendo. Se infatti possiamo essere più o meno consci di quello che stiamo enunciando, lo siamo molto di meno di quello che stiamo comunicando.

Mi spiego meglio. Come nella vita reale il messaggio verbale è solo uno degli elementi della comunicazione - e il senso complessivo dell'enunciato lo si ottiene anche, e soprattutto, dal linguaggio non-verbale (postura, intonazione della voce, gestualità) - così succede anche in rete.
Con l'unica differenza che il linguaggio non-verbale del web utilizza, per ovvie ragioni, codici espressivi diversi (a meno che non si tratti di chiamate vocali o videochat, in cui entra in gioco anche la parte corporea degli interlocutori).

Uno di tali codici è l'uso del maiuscolo. In rete questa scelta ha un significato preciso: scrivere una parola o una frase tutta in maiuscolo significa che quello che si dice lo si sta dicendo urlando.
Non stupitevi quindi se il vostro interlocutore potrebbe sulle prime avere una brutta reazione!
Ovviamente anche in questo caso il contesto aiuta a interpretare il messaggio: se ad essere scritto tutto maiuscolo è il titolo di un articolo o di un post, risulta evidente che si tratta di una scelta editoriale per stabilire delle gerarchie visive e di senso all'interno del contenuto e nessuno le interpreterebbe diversamente.
Allo stesso modo, nessuno potrebbe equivocare un "GRAZIE TESORO PER LA SPLENDIDA GIORNATA!!" sulla bacheca di mia sorella. Al massimo potrebbe pensare che al momento io sia un po' su di giri.

Ma ci sono casi in cui il pericolo è in agguato: anche un semplice "ehi!" suona totalmente diverso dal suo omografo "EHI!". Ci avete mai fatto caso? ;)

Se poi vi piace scrivere tutto maiuscolo potete tranquillamente continuare a farlo, ma almeno sapete che cosa c'è dietro ;) E se qualcuno dovesse offendersi, capirete perché.

17 novembre 2011

Cc(n): quando la differenza tra rispetto e superficialità sta in una singola lettera


Vi avviso: questo sarà un post etico, tutto dedicato alla "copia conoscenza" e a sua sorella, la "copia conoscenza nascosta" (parlo di mail ovviamente).
È un post “di pancia”, di quelli che nascono dal cuore. Un post dedicato a chi ancora - e sono tanti - utilizza questo strumento in modo improprio o superficiale, senza accorgersi di come un piccolo gesto possa segnare la differenza tra “io ti rispetto perché ti considero” e “non mi importa nulla di te”.

Parlando con le persone mi sono accorta, infatti, che non tutti conoscono a fondo questo strumento, i messaggi espliciti e impliciti che trasmette, i codici di netiquette che attiva.

Forse allora è meglio spiegare le differenze tra destinatario/i principale, copia conoscenza e copia conoscenza nascosta e le rispettive gerarchie. Sono infatti le gerarchie fra i tre elementi che fanno la differenza “di tono”.

Vediamoli insieme.

- Destinatario/i: la persona o le persone a cui ci si rivolge. In questo caso, se le persone sono più di una, le si intende, all’interno del codice comunicativo della mail, in rapporto paritario, sebbene nella vita reale possano esistere delle differenze gerarchiche. Questo è un elemento importante quando si tratta di rispondere, ma a cui quasi nessuno fa caso. Tutti i destinatari della mail sono autorizzati a rispondere al mittente e anche a tutti gli altri (usando la funzione “rispondi a tutti” invece del semplice “rispondi”).
Esempio: ho voglia di pizza; scrivo una mail ai colleghi con cui pranzo di solito per sapere chi ci sta. Tra i destinatari includo persone che, all’interno dell’azienda, possono ricoprire ruoli diversi, ma che per me, in questo caso, rappresentano il “gruppo di quelli con cui mangiare la pizza”. Ognuno di loro, in quanto destinatario, è autorizzato a replicare e può decidere di rispondere solo a me, anche se, dato il contesto conviviale, è più facile che scelga di rispondere a tutti.

- Copia conoscenza (Cc): il senso di questa funzione è quello di mettere al corrente una o più persone di quello che sta succedendo nello scambio tra il mittente e il destinatario. In questo caso però si crea una differenza gerarchica: la comunicazione infatti avviene solo tra mittente e destinatario, l’unico autorizzato a una replica. Le persone in Cc, sebbene in rapporto paritario tra loro, sono considerate “spettatori”, persone che è necessario aggiornare o informare, ma a cui non ci si rivolge direttamente. In questo caso, chi è in copia, non è autorizzato a rispondere, a meno che non sia esplicitamente sollecitato o in caso di necessità.
Esempio: mando una mail al mio referente in un’altra azienda per discutere di modifiche a un progetto. Metto in Cc i nostri rispettivi capi, o le risorse di entrambi i gruppi di lavoro se i capi siamo io e il mio referente, in modo tale che tutti siano al corrente e abbiano le medesime informazioni. In questo caso la risposta deve arrivare solo dal referente, sicuramente mai da una risorsa, solo in caso di necessità da parte di un capo.
Un elemento importante da tener presente è che la Cc permette a ciascun destinatario di visualizzare tutti gli indirizzi di posta elettronica inseriti. Nel caso di comunicazioni private, mettere in Cc persone che non si conoscono tra loro (tipico esempio è l’inoltro delle classiche “catene di Sant’Antonio”), rendendo pubblico o comunque diffondendo un indirizzo privato, vìola il diritto alla privacy!

- Copia conoscenza nascosta (Ccn): il senso di questa funzione è invece quello di mettere al corrente una o più persone di quello che sta succedendo nello scambio tra il mittente e il destinatario, senza farlo sapere al destinatario stesso. Le persone in Ccn infatti non compaiono mai nella mail del destinaterio né in quella delle altre persone nascoste.
E qui il “tono” si ribalta: se infatti nella comunicazione privata la Ccn è l’unico sistema per non violare la privacy dei destinatari, in azienda può essere un atto molto lesivo, perché privo di trasparenza e buona fede.

Prestare attenzione a queste sfumature, oltre ad essere un segno di rispetto, a volte può veramente fare la differenza nell'esito di una trattativa o di un rapporto personale.

Alla prossima!

16 novembre 2011

Pausa ||


Un chiostro antico,
il sole d'autunno,
un cinguettio lontano.
Sentirsi vivi nel centro del silenzio.

Ci vuole anche questo.

7 novembre 2011

Una bussola...


... per ritrovare la direzione quando l'abbiamo persa.

"1. Scegli la montagna che desideri scalare. Non lasciarti trascinare dai commenti degli altri, di coloro che dicono: “Quella è più bella”, oppure: “Questa è più facile”. Giacché raggiungere l'obbiettivo ti costerà molte energie e tanto entusiasmo, dovrai essere l'unico responsabile della scelta, perfettamente convinto delle tue azioni.
2. Impara come arrivare ai piedi della montagna. Sovente si vede la montagna da lontano: è bella, interessante, piena di sfide. Ma che cosa succede allorché si cerca di avvicinarsi ad essa? Le strade sembrano girarle intorno; alcune foreste si interpongono fra te e la tua meta; ciò che sulla mappa appare lampante, nella vita reale risulta assai difficile. Ecco perché devi essere pronto a imboccare tutte le strade e tutti i sentieri, finché un giorno ti ritroverai ai piedi della vetta che intendi scalare.
3. Apprendi da chi ha già compiuto quel percorso. Per quanto tu ritenga di essere unico, c’è sempre qualcuno che ha inseguito il medesimo sogno prima di te e ha lasciato alcuni segnali che possono rendere più facile il tuo percorso: punti dove fissare la corda, sentieri che abbreviano il tragitto, rami spezzati che consentono una marcia più spedita. Il cammino appartiene a te, al pari di ogni responsabilità, ma non dimenticare che l’esperienza altrui è di grande aiuto.
4. Da vicino, i pericoli risultano controllabili. Quando cominci a inerpicarti sul monte dei tuoi sogni, presta attenzione all’ambiente circostante. Com'è ovvio, ci sono dei precipizi, delle spaccature quasi impercettibili, delle rocce talmente levigate dalle tempeste che, con il gelo, diventano scivolose. Tuttavia, se ti premurerai sempre di verificare dove posi il piede, ti accorgerai delle varie trappole e saprai evitarle.
5. Il paesaggio cambia, quindi goditelo. Pur muovendosi con un preciso obbiettivo nella mente - raggiungere la vetta -, durante la salita si possono ammirare altre cose: non ti costa nulla fare alcune soste e goderti il panorama circostante. A ogni metro conquistato, puoi vedere più lontano: approfittane dunque per scoprire particolari di cui non ti eri nemmeno accorto.
6. Rispetta il tuo corpo. Soltanto chi riserva al prorio corpo le giuste attenzioni riesce a scalare una montagna. Poiché disponi di tutto il tempo che la vita ti offre, cammina senza pretendere ciò che non può esserti dato. Se procederai troppo in fretta, ti stancherai e desisterai a metà dell'impresa. Se avanzerai troppo lentamente, potresti essere sorpreso dalla notte - e allora sarai perduto. Goditi il paesaggio, approfitta dell’acqua delle sorgenti e dei frutti che la natura ti offre generosamente, ma continua a camminare.
7. Rispetta la tua anima. Non continuare a ripeterti: “Ce la farò”. La tua anima lo sa perfettamente: le occorre soltanto quella lunga camminata per crescere, per estendersi fino all'orizzonte e raggiungere il cielo. Un'ossessione non fornisce alcun aiuto per il perseguimento dell’obiettivo: anzi, finisce per annullare il piacere della scalata. Attenzione, però: non continuare neppure a ripeterti: “È più difficile di quanto pensassi”, perché un simile comportamento ti farebbe perdere la forza interiore.
8. Preparati a percorrere un chilometro in più. Il percorso per raggiungere la vetta della montagna è sempre più lungo di quanto si pensa. Non ingannarti: arriva sempre il momento in cui ciò che sembrava vicino è ancora molto lontano. Tuttavia, se sarai preparato ad affrontare una simile evenienza, ad andare oltre, questo non rappresenterà un problema.
9. Gioisci quando raggiungi la vetta. Piangi, batti le mani, urla ai quattro venti che ce l’hai fatta. Lascia che il vento, lassù in cima - è sempre ventosa la vetta! -, ti purifichi la mente, rinfreschi i tuoi piedi stanchi e sudati, ti apra gli occhi e ripulisca il tuo cuore dalla polvere. Che bello: ciò che prima era soltanto un sogno, un panorama lontano, adesso appartiene alla tua vita. Sì, ce l’hai fatta!
10. Fai una promessa. Approfitta del fatto di avere scoperto una forza di cui ignoravi l’esistenza per dire a te stesso che, d’ora in poi, la utilizzerai sempre, ogni giorno che ti resta da vivere. Sforzati per promettere di scoprire un'altra montagna e di ripartire per una nuova avventura.
11. Racconta la tua storia. Sì, racconta la tua storia. Porta il tuo esempio. Di’ a tutti che è possibile, dimodoché altri individui abbiano il coraggio di affrontare le proprie montagne".

Paulo Coelho, "Manuale per scalare le montagne" in Sono come il fiume che scorre, Bombiani, pp. 28-30

14 ottobre 2011

Nativi digitali

Eloquente.

4 ottobre 2011

C'è un limite a tutto...


Quando le parole hanno un peso e dimenticarsene può essere fatale.

Stamane ho letto un post che nelle intenzioni del suo autore avrebbe dovuto essere satira creativa.
A me invece ha infastidito, perché a volte per la cosiddetta creatività si sacrificano rispetto e consapevolezza.

Un creativo ha un compito importante: trasmette messaggi.
E lo fa con due strumenti di precisione: parole e immagini.

Un creativo non può, per deontologia professionale, prescindere dal rispetto dell'altro e dimenticarsi della responsabilità che ha nei confronti di chi riceve il suo messaggio.
Un creativo non può non sapere che l'effetto di una parola viene in ogni caso amplificato da un'immagine e un'immagine completata dalla parola, anche se si tratta di una singola parola.

Ovvio che questo non è il peggio del peggio: basta guardarsi intorno e di pessimi esempi se ne trovano in quantità. Ma è il primo post della mattina e come buongiorno non è il massimo.

2 ottobre 2011

Autostima alla... Edison

"Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”
Thomas A. Edison

Se volete leggere tutto il post da cui ho preso in prestito l'aforisma andate sul blog di Elena Veronesi.
Si parla di creatività ;)

15 luglio 2011

Sintetizzare, una faccenda complessa


"Vi scrivo una lunga lettera perché non ho tempo di scriverne una breve".

Voltaire

6 luglio 2011

Grazie Vincent!


"Faccio sempre ciò che non so fare, per imparare come va fatto."
Vincent Van Gogh

3 luglio 2011

Gamification: l'utilizzo dei meccanismi del gioco per comunicare meglio. E non solo

Ragazzi, c'è un mondo là fuori ancora tutto da scoprire! No, che dico, un intero universo parallelo, con le sue connessioni infinite, miliardi di nuove possibilità di cui non si immaginava l'esistenza!

Ok, torno seria, o almeno ci provo. Se ne farà anche un gran parlare, ma per me è un ambiente nuovo e inesplorato. Quindi ci sta anche l'entusiasmo di scoprirlo poco a poco. Seguo dunque la carica del momento e condivido spunti e pensieri in libertà.

La definizione di gamification di Wikipedia mi sembra un ottimo punto di partenza: "Gamification is the use of game play mechanics for non-game applications (also known as "funware"), particularly consumer-oriented web and mobile sites, in order to encourage people to adopt the applications.".

Ma sto scoprendo che alla base della nuova filosofia c'è molto di più: le implicazioni sociali, emotive e psicologiche sono tante e multisfaccettate. Brividoso!

Lo confesso, al momento mi sento un po' come Teseo nel labirinto. Ma siccome il divertimento sta proprio nel fregare il Minotauro, mi armo del mio filo di Arianna e parto per l'avventura.

Per ora fanno parte del mio gomitolo (e del mio kit di sopravvivenza):

- Che cos’é la gamification e perché se ne parla tanto: un post di Tommaso Sorchiotti su Apogeonline
- Gamification.it: blog italiano specializzato
- Game design: giocare è una cosa seria!: questo post è mio, ma mi aiuta nel ripasso ;)

Alla prossima!

28 giugno 2011

Quando organizzate un evento, ricordatevi di mettere l'indirizzo!


... almeno finché il trasporto telepatico è ancora fantascienza.

Scherzi a parte. Gli indirizzi sono ancora importanti e non metterli non è trendy. È stupido.

Vi racconto questa.
La Regione Lombardia ha organizzato un evento, cui mi sono iscritta attraverso il sito della Regione stessa. L'evento è stato realizzato in collaborazione con un'altra associazione, sul cui sito si trova il programma. Effettuata l'iscrizione, mi arriva la mail di conferma dell'avvenuta registrazione.
In ognuno di questi tre "posti" compare sempre (e solo) il nome del luogo dell'incontro: Sala Pirelli - Palazzo Pirelli. Mai l'indirizzo esteso, da nessuna parte.

La prima regola del vivere civile è il rispetto. E la parola netiquette dovrebbe concretizzare il rispetto per gli utenti della Rete.
Se è vero che la ridondanza è da evitare, lo è pure la mancanza di informazioni essenziali. Mi spiego: un conto è ripetere l'informazione su tutte le pagine di uno stesso sito (ridondanza), un conto è fornirla in ogni pagina di siti diversi, cui ovviamente si può accedere da link diversi. Nella mail, poi, un riepilogo delle informazioni essenziali è comunque cosa gradita.

Morale della favola: se volete che vi raggiungano... fatevi trovare!

Epilogo
Telefono al numero indicato con la dicitura "Per ulteriori informazioni". Chiedo all'operatore l'indirizzo preciso della location: non lo sapeva. Suggerisco due opzioni. Mi chiede di attendere in linea e si informa con i colleghi: nessuno sapeva. Mi chiede nuovamente di attendere in linea. Richiede. Ritorna al telefono: esitante mi dice che a suo parere l'opzione giusta è la 1.

Ho detto tutto.

14 giugno 2011

Scrivere 2.0

“Questo libro è pensato come un viaggio attraverso tutti i servizi online di ultima generazione che possono essere utili a chi scrive per passione o per professione. Non è pertanto un manuale su come scrivere per il Web, bensì un manuale su come utilizzare i Web per scrivere” (Luca Lorenzetti, Scrivere 2.0, p.1).

Ottimo. Tutto quello che un manuale dovrebbe essere e che di solito non è.

- Aggiornato (sia su carta sia sul sito dedicato).
- Preciso ed essenziale: nelle informazioni, nello stile e nell’impostazione grafica. Le informazioni non sono mai né troppe né troppo poche, ma esattamente quelle che servono per orientarsi agilmente; lo stile è appropriato, curato e scorrevole; la grafica permette di distinguere immediatamente le porzioni di testo e recuperare subito le informazioni necessarie, rendendo inoltre la lettura molto piacevole grazie al giusto equilibrio di parti scritte e spazi bianchi.
- Utile. La sequenza dei contenuti e il modo in cui sono organizzati permette una comprensione immediata di ogni parte. Il taglio editoriale, quasi da tutorial, ne garantisce l’efficacia.
- Rispettoso del lettore. L’autore si rivolge ai lettori con uno stile preparato e competente, ma nel contempo adatto a diversi livelli di conoscenze e competenze, evitando sia la pomposità accademica di certi manuali sia la sciatteria di altri.

Da non perdere. Per chi già conosce e vuole rimanere aggiornato e per chi non sa e vuole conoscere.

Luca Lorenzetti, Scrivere 2.0. Gli strumenti del Web 2.0 al servizio di chi scrive, Milano, Hoepli, 2010

9 giugno 2011

Ambienti confortevoli e sani anche a scuola

"I colori dell'aula e della mensa? Possono essere un deterrente contro il bullismo ed evitare sprechi di cibo. L'utilizzo di vernici e materiali bio? Tengono lontane le allergie e insegnano agli studenti le buone pratiche ecologiche. Il controllo dei decibel con infissi a prova d'intervallo? Aiutano la concentrazione e migliorano il rendimento scolastico."
(www.repubblica.it)

Finalmente un'iniziativa concreta che ripensa gli ambienti scolastici per renderli più sani e vivibili.

Un progetto, voluto dagli amministratori dell'Aquila e ideato dagli esperti della Società Italiana di Pediatria per la ricostruzione del dopo terremoto, che ora potrebbe diventare una realtà su tutto il territorio italiano.

8 giugno 2011

Pennarelli alimentari


Se ne scopre sempre una. Oggi è la volta dei pennarelli alimentari.

Sono uguali in tutto e per tutto a quelli che avevamo a scuola, con l'unica differenza che non si usano sulla carta, ma sugli alimenti, torte e biscotti principalmente.

Ce ne sono di tutti i tipi: punta fine, punta larga, colori base, colori pastello, oro o argento, glitterati, fluorescenti...

I prezzi? Anche questi per tutti i gusti, ma in genere accessibilissimi, nell'ordine di qualche euro massimo.

E se vi piace essere colorati non solo in casa o in ufficio ma anche in cucina, troverete questo sito irresistibile: paste da modellaggio, colori alimentari spray, in polvere o idrosolubili, paste dai gusti raffinati per decorazioni di alta pasticceria. Oltre ai pennarelli alimentari naturalmente.
E - per inciso - già che ci siete date un occhio anche alla grafica.

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Food design. I biscotti Pantone. Colore e creatività tra lavoro e fornelli

1 giugno 2011

Comunicazione efficace. A partire dal CV

È un infopgraphic il nuovo curriculum ideato da Hagan Blount per chi si sente stretto nell'angusto schema del classico (e forse un po' superato) modello europeo.
Dedicato a chi ha qualcosa da dire e vuole dirlo nel modo più efficace e migliore possibile, originale ma non banale, il modello, in puro stile 2.0 e oltre, miscela con abilità testo e grafica per adattarsi alle nuove esigenze di comunicazione.

Il modello standard è scaricabile in PDF, mentre se desiderate la versione personalizzata dovete contattare l'autore.

Funzionerà anche in Italia?

29 maggio 2011

Un libro, tante copertine: storia di chi non ce l'ha fatta


"The loser is...": storia a rovescio di una copertina.
Anzi, di molte, di quelle che sono state realizzate, ma poi scartate per un motivo o per l'altro durante la selezione editoriale.

Gironzolando in rete ho recuperato un articolo apparso qualche tempo fa su The New York Times intitolato "Book covers that got away" (tradotto qui). Su segnalazione di alcuni cover designer, l'articolo propone una gallery di copertine mai andate in stampa.
La versione italiana ci aiuta nel confronto aggiungendo anche le cover che invece ce l'hanno fatta ma che difficilmente troveremo sugli scaffali delle nostre librerie.

Ecco un esempio stuzzicante di cambio prospettico. Ottima idea quella di condividere con chi avrà tra le mani solo il prodotto finito il divertimento di scoprire e confrontare le fasi della produzione grafica!
Un piacere che si rinnova ogni volta per chi, come me, lo fa di mestiere e che ora anche altri possono provare.
L’appagamento del gioco creativo in sé, delle infinite modulazioni di uno stesso tema, la curiosità di sapere come la fantasia del grafico realizzerà l'idea. E se il gusto della sfida un po’ si perde, rimane intatta la soddisfazione mentale del confronto e della scoperta. E la consapevolezza che, in alcuni casi, la scelta finale non è stata la migliore.

Da approfondire.

17 maggio 2011

A proposito di comunicazione "semplice e comprensibile"

" 'Semplice e comprensibile' e basta in realtà vuol dire poco. 'Semplice' rispetto a cosa? 'Comprensibile' per chi?

La faccenda si complica subito.
La semplicità non è semplice da descrivere perché sembra derivare da un togliere il superfluo che però va definito rispetto a un necessario. Ma il necessario cambia secondo l'obiettivo e il contesto. [...]
E la comprensibilità è sempre relativa: all'argomento, al destinatario, alla sua condizione contingente, alle sue competenze.

Ci provo. Non sarà semplice. Farò di tutto perché risulti, almeno, comprensibile.

Un cacciavite è comprensibile e semplice paragonato a un trapano elettrico. O a un computer. Non lo è per Michele [un bimbo di 2 anni N.d.R.]. Il suo uso è comprensibile, ma non è semplice per un adulto a cui tremano le mani. O che indossa guanti da sci.
Ma un cacciavite non è né semplice né comprensibile, per esempio, in relazione alla necessità di aprire un tappo a corona di una bottiglia di acqua minerale, a quella di infilare un chiodo a espansione in un muro, a quella di scrivere dieci pagine di testo.
Un cacciavite con una serie di punte intercambiabili, adatto a qualsiasi tipo di vite, è meno semplice e comprensibile di un cacciavite normale. Però trasforma qualsiasi vite in qualcosa di semplice da avvitare.
Insomma, semplice e comprensibile, dipende."

Annamaria Testa, Farsi capire, RCS, 2000, pp. 190-191

Della serie: mai dare per scontato che quello che scriviamo sia comprensibile solo perché l'abbiamo scritto noi ;)

Letteratura per l'infanzia e famiglie omogenitoriali

Si chiama Lo stampatello ed è la prima casa editrice per l'infanzia che "nasce per colmare un vuoto nell'editoria infantile, quello rappresentato dalle famiglie in cui i genitori sono due donne o due uomini che si amano".

Senza dimenticare tutte le altre tipologia di famiglia allargata.

Ottima idea!

Scopritela qui.

16 maggio 2011

Happiness in bed...

... la coperta "con le maniche" che tiene al caldo chi legge a letto .

La trovate qui.

10 maggio 2011

Game design: giocare è una cosa seria!

"Il gioco, insomma, è il motore dell’evoluzione umana; Jane McGonigal pone spesso l’accento su come lo stato mentale della persona immersa nel mondo ludico sia più ottimista, concentrato e pronto alla sperimentazione rispetto alle altre attività quotidiane.

Chi gioca è più tollerante al fallimento, perché riesce a rielaborare in modo positivo i feedback che derivano dal non essere riusciti a portare a termine un compito, ma soprattutto riesce a mantenere un particolare tipo di stress positivo (eustress) perché genera quella concentrazione e quella spinta all’azione che molto spesso manca nelle attività di routine.
Uno stato mentale ideale per riuscire a completare con successo compiti anche molto complessi."

L'articolo completo di Federico Fasce su Apogeonline.

iPod, iPhone, iPad, iGoogle: egocentrismi 2.0?

Il bello della polisemia: il prefisso "i" (che ovviamente sta per "internet") inserito nel nome di alcuni dei gadget tecnologici e delle applicazioni più trendy si legge - in inglese - come il pronome personale di terza persona "io".

Guida turistica per chi ama libri e viaggi

Anna Albano, Milano città di libri. Guida alle librerie e ai librai indipendenti di Milano, NDA, 2010

L'ho scoperta oggi anche se ha ormai più di un anno. In attesa di acquistarla, vi copio la descrizione che ne dà Feltrinelli (il grassetto e la formattazione sono miei).

Buona gita!

"Una guida “diversa” per scoprire e vivere la città da un altro punto di vista. Un percorso nella parte più nascosta e creativa della capitale italiana dell’editoria. Un libro indispensabile, che mancava da anni, per tutti i curiosi, gli amanti dei viaggi, dei libri e di Milano.

Milano città di libri passa in rassegna le librerie indipendenti esistenti (stante la congiuntura storica, meglio sarebbe dire resistenti) a Milano e indaga sulle attività e i servizi che i loro proprietari inventano di giorno in giorno per stringere a sé i lettori.

La peculiarità del volume sta nel dare voce, alla fine di ogni scheda dedicata al negozio, alle persone che ci lavorano e che ogni giorno danno fondo alla loro creatività culturale e finanziaria per rimanere a galla in un settore, quello della vendita dei libri, particolare e unico nel panorama del commercio in Italia.

Nata nel corso di una serie di interviste a librai di Milano, pubblicate sul blog dell’autrice, nell’ambito del progetto Milano città di libri, la guida si è via via concretizzata sostanziandosi anche dell’entusiasmo mostrato dai protagonisti principali dell’indagine, i librai del capoluogo lombardo.

Completano l’elenco dei negozi della città il pensiero dei librai circa l’origine e il senso del loro mestiere e una mappa di Milano con l’indicazione delle librerie presenti nelle sue zone amministrative."

4 maggio 2011

Disegnare ricette - parte 2. Torta allo yogurt

Dove vi racconto come non ho saputo resistere all'idea e mi sono cimentata anch'io con la mia personalissima ricetta visuale (che vedete in foto).

Siccome tra il "dire e il fare c'è di mezzo il mare" e se io non tocco con mano e non sperimento in prima persona non sono contenta, mi sono lanciata nell'impresa.
Ora, vabbe', che è dai tempi del liceo che non impiastriccio la mia Smemo con scritte multicolor - e 20 anni sono tanti! - e che sono quindi un tantino fuori allenamento, vabbe' che io i pastelli a cera non li reggo (ma mi sono dovuta accontentare in mancanza d'altro), vabbe' che sono anche un po' tastiera-dipendente e che per disegnare un vasetto di yogurt ci ho messo un'eternità, però lasciatemelo dire: "Che fatica!!".
Tra il tratto, il colore e tutto il resto mi è passata la serata!

Non sono sicura di essere soddisfatta del risultato, ma come prima volta non voglio nemmeno essere troppo severa con me stessa.

PS: la torta allo yogurt è una delle mie preferite.
Vi lascio la seconda parte della ricetta: prendete tutti gli ingredienti, mixateli nel frullatore, metteteli in una teglia precedentemente imburata, infornate a forno preriscaldato a 180 °C per circa mezz'ora.
Ricordatevi che l'unità di misura di tutti gli ingredienti è il vasetto di yogurt da 125 g.

Disegnare... ricette

C'è chi le scrive ancora a mano, su un bel quaderno rilegato old style, e chi le scarabocchia su un foglietto, chi le linka su Facebook o chi le posta sul blog, chi se le guarda sul tablet o preferisce sfogliarle da un libro.

E c'è chi le disegna. Un pennarello nero per i contorni, matite o pastelli per colorare gli oggetti. E la "ricetta visuale" è pronta.

Non so se avrei il tempo o la pazienza per farlo, però è sicuramente un modo originale (e analogico) per rendere divertente anche "il prima".
Un cambio di prospettiva che sposta l'attenzione dal fine (la golosa pietanza) al mezzo (la ricetta), un modo per rendersi conto che una ricetta è un atto creativo ancora prima di essere realizzata.

Food design: i biscotti Pantone. Colore e creatività tra lavoro e fornelli

Guardate un po' cosa si è inventata costei. Geniale!

Foto: Cures for Boredom

28 aprile 2011

La macchina da scrivere... USB

Non ci credete? Guardate qui!

27 aprile 2011

Riconoscersi

Apro a caso una pagina. Ecco cosa leggo.

"In questo periodo, sotto la superficie, un'altra nozione di libertà iniziava a farsi strada nella mia coscienza: la libertà di seguire lo scopo della mia vita con tutto l'impegno a cui potevo fare appello, e, allo stesso tempo, permettere alle forze creatrici della vita di muoversi in me senza il mio controllo, senza 'agire perché accada'. Come avrei imparato con il tempo, questo è un modo di operare di gran lunga più potente".
(Joseph Jawroski)

Carol Adrienne, Lo scopo della tua vita, TEA, 2000, p. 171

E riconosco il mio presente.

21 aprile 2011

Giù le mani da Harry Potter

Scelte editoriali non sempre azzeccate.

Ecco cosa si è inventata Salani per la nuova ristampa di Harry Potter e la pietra filosofale.

17 aprile 2011

Quando leggiamo leggiamo davvero?

Scopritelo in questo bel post di Yvonne Bindi.

Una gita divertente tra vita vissuta, comportamenti umani e web usability.

16 aprile 2011

Tutti i libri del mondo... - Hermann Hesse

Tutti i libri del mondo
non ti faranno felice,
ma ti condurranno in segreto
all'interno di te stesso.

Lì troverai tutto ciò
di cui hai bisogno,
il sole, le stelle, la luna,
perché la luce che cerchi
dimora già in te.

La saggezza che hai cercato a lungo
tra i libri,
splenderà da ogni pagina,
perché ora quella saggezza
è diventata tua.

Hermann Hesse, citato in Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, 2003, p. 14

6 aprile 2011

Siamo tutti fatti per essere felici

Questa volta l’ho fatto apposta: per una volta ho trasgredito alla mia regola numero uno (mai acquistare qualcosa che qualcuno fa di tutto per farti acquistare), sono stata al gioco, ho finto di abboccare, mi sono messa nei panni di chi sa poco o niente di tecniche di persuasione più o meno occulte e ho accettato la provocazione editorial-commerciale in salsa medico-esistenziale.
Volevo verificare se si trattava dell’ennesima iniziativa “tutto fumo e niente arrosto” o se al di sotto di banalità e slogan “acchiappa lettori” un qualcosa di solido c’era.
In fondo, mi sono detta, Christian Boiron non è il primo idiota che passa per strada e almeno un’idea intelligente mi aspetto di trovarla.

Quindi? Qualche punto forte (che condivido), molte idee e progetti personali dell’autore sicuramente interessanti (ma che non condivido), qualche punto debole che mi fa dire: “Peccato!”.

Distinguerei la prima metà del libro dalla seconda.
È all’inizio infatti che Boiron descrive il suo metodo per essere felici che, per quanto più o meno condivisibile, è comunque solido e ben strutturato e si appoggia su basi scientifiche. Lui ci crede – e si sente – e tutto scorre liscio.
Utile anche l’impostazione generale: spiegazione teorica, esercizi (fattibili), specchietti riassuntivi chiari e sintetici alla fine di ogni capitolo e raccolti tutti insieme in un piccolo manuale in appendice.
Unico neo di questa prima parte alcune forzature teologiche: in un discorso scientifico e laico non mi aspetto di trovare riferimenti religiosi, indipendentemente dal fatto che io sia atea o credente. Questione di coerenza. Ma a parte questo direi interessante.

La seconda parte, invece, è a mio avviso un po’ troppo debole, sebbene alcune riflessioni siano comunque stimolanti.
In questa parte Boiron propone una visione più ampia, allargando il pensiero a tutti gli aspetti della società e delineando, a volte in modo quasi impositivo, un suo modello di “società ideale”. Ecco, questo idealismo spinto all’estremo, più filosofico che scientifico, mi ha lasciata perplessa: alcune idee le ho trovate eccessive, quasi al limite, e non riesco proprio ad abbracciarle, altre mi sembrano francamente un po’ troppo utopiche, quasi vaneggiamenti.
Non contesto il fatto che Boiron esprima una sua tesi ben precisa con convinzione e coraggio, quanto piuttosto il cambio di tono rispetto alla prima parte.

Penso comunque che sia una lettura se non indispensabile almeno consigliata, se non altro per poter discutere con spirito critico (e scientifico) un argomento che troppo spesso ci viene propinato come una panacea rosa pseudo New Age.

Christian Boiron, Siamo tutti fatti per essere felici, Sperling&Kupfer, 2011

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Imprenditori che danno il buon esempio

4 aprile 2011

Imprenditori che danno il buon esempio

Casi concreti di aziende e lavoro etico: quando economia e rispetto per il valore umano si incontrano.

Un esempio europeo: i Laboratoires Boiron.

"Il 13 giugno 1979 nei Laboratoires Boiron è stato firmato un importante accordo tra le parti che ha modificato in toto l'atmosfera dell'azienda. Abbiamo definito una formula piuttosto semplice per calcolare ogni anno l'aumento delle retribuzioni e/o la riduzione dell'orario di lavoro in base all'incremento di produttività registrato l'anno precedente.
Secondo tale accordo, il potere d'acquisto veniva mantenuto se l'azienda aveva realizzato almeno il 4% in più. Al di là di questo minimo, indispensabile alla sopravvivenza dell'impresa, l'aumento della produttività veniva ripartito in due parti uguali: una metà all'azienda sotto forma di dividendo agli azionisti e per consentire ulteriori investimenti, l'altra metà ai dipendenti sotto forma di retribuzioni o riduzione dell'orario di lavoro (nel calcolo sono naturalmente conteggiati sia le variazioni decise dallo Stato, sia quelle previste dal nostro contratto collettivo. Con il nostro accordo, in questo modo, siamo riusciti a finanziare sia la quinta settimana di ferie, sia la settimana lavorativa di trentacinque ore).

Questa formula è stata ritoccata più volte per tener conto dell'evolvere del contesto, ma il principio resta intatto. Lo spirito che informa l'accordo è la trasparenza, la volontà di definire regole del gioco che tutti possono capire. È stato questo uno dei pilastri della fiducia sulla quale siamo riusciti a costruire numerose innovazioni sociali, a beneficio dell'azienda ma anche dei dipendenti, in un rapporto reciprocamente vantaggioso.

È fondamentale che tutti sappiano esattamente come si distribuiscono i frutti dell'espansione; azionisti e dipendenti devono ricevere una parte, equa e concertata, degli utili. È necessario rinsaldare un clima di pace e di fiducia fra queste due categorie che, in ogni progetto, si trovano necessariamente legate fra loro. A tal punto che, sempre più spesso, i dipendenti sono anche azionisti!"

[Il grassetto è mio]

Christian Boiron, Siamo tutti fatti per essere felici, Sperling&Kupfer, 2011, pp. 201-202

Per saperne di più sulla filosofia Boiron.

2 aprile 2011

Scrivere eco con la penna biodegradabile

Scrittura... sostenibile: essere responsabili di ciò che si scrive partendo da ciò con cui lo si scrive.

Finalmente una penna biodegradabile!
Per chi non vuole perdere il piacere di scrivere a mano senza dimenticare l'ambiente.

25 marzo 2011

Respiro profondo

Christopher Brown, Parco nazionale di Denali, 27 aprile 2010.
www.nationalgeographic.com

22 marzo 2011

Svelare cose nascoste

Domenica mattina. Seduta al tavolo di cucina leggo mentre mia madre prepara il pranzo. Trovo una frase interessante che desidero sottolineare. Mi serve una matita, ma la mia non si vede nei paraggi. Mi alzo e, continuando a leggere, mi dirigo distrattamente verso la mensola in camera. Pesco a caso dalla mug che uso come portamatite e ritorno in cucina, sempre concentrata sulla lettura.

“Sarebbe bello poterla suonare e scoprire che musica è”.
Mia madre è divertita e curiosa. Io perplessa: non avevo còlto. Seguo allora la direzione del suo sguardo: la matita.
Si tratta di una matita che acquistai anni fa a Pisa in un negozio di oggetti in carta decorata a mano: è rivestita con una carta spessa che riproduce uno spartito musicale blu notte su fondo bianco avorio.
L’ho sempre considerata una decorazione molto bella per una matita. L’ho sempre considerata solo una decorazione molto bella per una matita.

Mia madre aveva visto di più. Era arrivata all’essenza, con semplicità: quella era prima di tutto musica. Non nella sua forma sonora, più immediata e primitiva, ma in quella scritta, più misteriosa e astratta. Simboli silenziosi, frammenti di suono a cui nessuno ha per ora dato forma.

Forse non sapremo mai che melodia riproduce quella carta, ma a volte basta un altro occhio per farci “vedere” davvero.

20 marzo 2011

Rosaconfetto

Rosaconfetto è un libro. È un libro per bambini (forse più per bambine) uscito negli anni ‘70. L’ho ritrovato ieri, scampato, come altri per fortuna, all’allagamento della cantina.
Non l’ho mai dimenticato, anche se sono stata costretta a rinchiuderlo in cantina.

Mi piaceva. Mi è sempre piaciuto, ancora prima di conoscere la storia, ancora prima di comprendere la storia, ancora prima di saper leggere. Prima di tutto.
Perché le illustrazioni parlano da sole, con quei colori pastello così intensi, i gialli caldi, i grigi e i rosa, le sfumature che addolciscono i tratti decisi.
Perché io in quella storia mi ci riconoscevo, tutta quanta, dalla A alla Z.
All’inizio c’erano solo le immagini a creare uno scenario vivo e a raccontare un mondo in cui essere diversi è sbagliato, essere diversi è un demerito invece che un pregio, perché per essere belli e apprezzati bisogna essere tutti uguali, conformarsi agli stereotipi dei padri.
Poi sono arrivate le parole, prima ascoltate, poi lette in tutta indipendenza.

Rosaconfetto racconta di un’elefantina che, a dispetto del titolo, si chiama Pasqualina. È un personaggio che ha il coraggio di ribellarsi alla tradizione, ai ruoli imposti dal branco, trova la forza di prendersi la sua libertà, anche a costo di andare contro i genitori. Perché lei vuole essere se stessa, esprimersi in base alla sua natura di elefante e non in base a vecchie e logore consuetudini. E, grazie al suo esempio, trascina con sé tutte le giovani elefantesse, cambiando per sempre la storia del suo popolo.

Oggi l’ho riletto. E ancora una volta mi ci sono riconosciuta.

Adela Turin e Nella Bosnia, Rosaconfetto, Dalla parte delle bambine, 1975

17 marzo 2011

Francobolli fantasy dal Regno Unito

Geniale iniziativa delle poste britanniche quella di stampare una serie di francobolli (sì , pare che esistano ancora) "a tema" fantasy.
I soggetti? I personaggi magici delle saghe letterarie più famose del Regno: Le cronache di Narnia di C.S. Lewis, il ciclo bretone di King Arthur, i personaggi del Mondo Disco di Terry Pratchett e, naturalmente, l'immancabile mondo di Harry Potter di J.K. Rowling.

Magical Realms è il titolo della collezione.
Le foto le trovate qui.
Il motivo dell'iniziativa, invece, sul sito ufficiale della Royal Mail.

E-book questo sconosciuto? Una guida chiara e semplice, in italiano, da scaricare sul pc


Dedicato a chi compie i primi passi nel "mondo e-book".

Ci hanno pensato quelli di Finzioni: una guida in italiano, aggiornata al 15 ottobre 2010, semplice e chiara, per rispondere alle domande più comuni di chi vorrebbe saperne di più. Da lettori per lettori.

Per farvi un'idea, ecco l'indice:
- Che cos'è un ebook?
- Come scegliere un lettore?
- Come funziona il mercato degli ebook?
- Come cambia il modo di leggere?
- Cosa possiamo aspettarci dal futuro?

Loro la definiscono così: "Una breve guida al mondo degli ebook e degli ereader, pensata e scritta per chi non ne sa (quasi) nulla e vuole farsi un’idea. Niente roba da smanettoni, solo qualche consiglio da lettori a lettori!"
(eFFe, ebook HYPE!, p. 1)

Potete scaricarla qui.

Se invece volete leggere il godibilissimo post, in cui si spiega come nasce la guida, andate qui.

15 marzo 2011

Fuoco sacro – 5

Quando scrivere è un mestiere. Vivace con brio

Se invece che per passione si scrive per professione le cose iniziano a complicarsi. Ed è a questo punto che il cambio di prospettiva che vi ho proposto dà i suoi frutti. Mettetelo pure alla prova: resisterà! E vi toglierà dagli impicci in più di un’occasione. Potrei scrivere post interi sull’argomento, ma la strategia migliore è una sola: provarlo.
Non scoraggiatevi se le prime volte non vi riesce bene, fa parte del gioco. Prima bisogna allenarsi un po’: il come e il quando è a vostra discrezione.

Dalla teoria alla pratica.
Pensate di dover scrivere un articolo. Il caso più semplice (ma anche il meno frequente ahimè!) è che abbiate un ampio margine di libertà e autonomia nel decidere, per esempio, l’argomento. Supponete di avere una vostra rubrica (su un sito, un blog nel caso siate blogger di professione, un magazine, un quotidiano locale o il giornale della parrocchia). In questo caso l’elemento “obbligatorio” a cui attenersi sarà l’argomento generale della rubrica, per esempio Il tuo giardino, Pet therapy, Arredare low cost e via dicendo. I temi dei vari articoli invece possono venir decisi da voi di volta in volta oppure concordati insieme a un responsabile di redazione. In ogni caso, seppur con tutte le varianti, siete comunque autosufficienti. Se poi la rubrica l’avete scelta voi perché è un argomento che vi appassiona… benvenuti in paradiso!
Ciò non toglie che quel pezzo voi lo dobbiate scrivere e consegnare (o pubblicare), perché avete un contratto e delle scadenze da rispettare. E a chi vi paga o a chi vi legge non importa un fico secco se il cane ha appena fatto la pipì sul tappeto, la zia non può andare a prendere il bambino a scuola, la macchina è dal meccanico, fuori diluvia e avete appena chiuso la cornetta in faccia all’ennesimo centralinista del call center di turno che voleva vendervi un delizioso vino in lattine da 10 litri! Voi quel pezzo lo dovete scrivere. E in fretta.

In genere però le cose non sono proprio così idilliache: spesso l’argomento non lo avete scelto voi, potrebbe anche essere un tema di cui non conoscete nulla e che quindi richiede del tempo per documentarsi a dovere, avete un numero minimo e massimo di battute (e credetemi che parlare di meditazione trascendentale in sole 800 battute è un’impresa pari alla scalata dell’Everest), la scadenza è sempre urgentissima ma ve la comunicano la mattina per la sera, dovete essere accattivanti ma non pressanti, autorevoli ma non noiosi, precisi ma non pedanti, originali ma senza troppa creatività, SEO compliant se lavorate per il web e, naturalmente, ricordarvi di dire cose sensate. Senza contare che potreste essere costretti a lavorare in un open space con altre 10 persone, i telefoni che squillano, gente che entra e che esce, la musica…

E l’ispirazione? Ultima porta a destra.

A meno che…

Se riuscite a trasformare uno svantaggio in un vantaggio, se ribaltate la situazione e scrivete “nonostante…”, perché è da quel “nonostante” che potrete mettervi nella giusta lunghezza d’onda, allora avrete vinto la sfida, perché vi sarete sciolti dai condizionamenti, avrete trasformato un atto che dipende dall’esterno in uno che dipende esclusivamente da voi. Sarete liberi.
E il “fuoco sacro” si accenderà ancora una volta, illuminando quello che fate e quello che siete.

Post scriptum (per una volta mi concedo il lusso di scriverlo tutto intero :))
Ho tralasciato di proposito di parlare degli “scrittori” inteso come le persone che scrivono libri. Non appartengo alla categoria e non avendo sperimentato il mestiere in prima persona riporterei solo un pensiero altrui. Meglio che quello che hanno da dire ve lo dicano loro stessi senza la mia mediazione (però, se vi interessa, potete trovare alcuni stralci che mi hanno insegnato molto in Ipse dixit e Leggendo qua e là).

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13 marzo 2011

Fuoco sacro - 4

Quando l’ispirazione non è un espediente ma un alibi

Se dunque in alcuni casi l’ispirazione può essere vista come un (falso) espediente, in altri assume più la connotazione dell’alibi (utilizzo il termine “ispirazione” intendendo sia la sua presenza - “sono ispirato e dunque scrivo” - sia la sua mancanza - “non sono ispirato e dunque non lo faccio”).
In questo contesto il non essere in “stato di grazia” diventa una scusa per nascondere qualcosa o nascondersi da qualcosa, per non affrontare noi stessi o gli altri: può essere la pigrizia del “cominciare a…”, o la riluttanza ad affrontare il confronto con un modello, spesso ideale, ma che risulta schiacciante per noi, la delusione del non piacere, l’insicurezza del momento, l’incertezza del giudizio altrui o ancora il timore del nostro censore interiore. Giriamola come ci pare, ma il risultato è che non si scrive.

Io invece credo fermamente che ogni occasione e ogni stato d’animo hanno in sé la potenzialità per farci scrivere. Spetta a noi cogliere l’opportunità che ci viene offerta e far germogliare il seme.
Letto in questa chiave non essere ispirato perché non si è dell’umore giusto diventa un finto problema perché è proprio la diversità (in questo caso l’umore diverso) ad essere uno stimolo in più.
La differenza di status, se accettata, permette al “fuoco sacro” di emergere vitale e libero, con modalità, spesso originali e inaspettate, che potrebbero anche sorprenderci per la piega particolare che assumono man mano che si compongono sulla carta.

Ecco arrivato il ribaltamento di prospettiva: da “oggi mi sento xxx e quindi non scrivo” a “oggi scrivo proprio perché mi sento xxx”.

E qui mi rendo conto di un fraintendimento abbastanza comune. Sentirsi xxx non significa per forza parlarne! Si può scrivere di tutto e sempre, solo che si scriverà in modo diverso se invece che yyy ci si sente xxx. Tutto qui.

Esempio pratico. Un piatto di maccheroni al pomodoro.
È la prima cosa che mi è venuta in mente. Potete sostituire la pasta con il telecomando del decoder, il bicchiere di plastica dimenticato sullo scaffale con un residuo di Coca di ieri, la matita HB con la gomma sul retro o quello che vi pare. Il senso non cambia.

Ok, ho il mio piatto di pasta al sugo in testa. E sono le 8 del mattino. Questi sono i dati. Ora vediamo come procedere.

Visto che sono le 8 del mattino potrei interpretare questa improvvisa visione come un segno che sono affamata.
Mi si aprono diverse possibilità. Parlare del mio stato d’animo xxx (la fame): come mi sento quando ho fame, quali sono le mie reazioni emotive alla fame, come reagisco alla fame degli altri e così via; oppure agganciarmi al motivo per cui ho fame (per esempio perché ho saltato la cena o perché sono a dieta).
Ma, come dicevo prima, questa è solo una delle possibilità e sentirsi xxx non significa necessariamente parlarne (anche perché se sostituisco la fame al dolore per la perdita di un figlio o alla rabbia per il furto dell’auto o a una delusione di un caro amico parlarne potrebbe risultare difficile).
Una seconda possibilità, quindi, è di lasciare che il mio mood xxx parli per me.
Potrei quindi approfittare dell’acquolina per descrivere il mio piatto di pasta: che tipo di pasta è? Maccheroni. E se fossero pappardelle fatte a mano? Di quelle ruvide che trattengono il sugo così bene? E che dire del sugo? Pomodoro. Ok, ma com’è questo sugo? Passata semplice? Pomodoro e basilico? Pomodorini a tocchetti con un soffritto di cipolla? Ci metto il parmigiano o il pecorino?
Ecco che il mio stato d’animo ha trasformato una semplice idea in un qualcosa di più articolato e magari mi viene pure voglia di scrivere la ricetta a un’amica o inventare una mia personale variante.

Pensate ora a una situazione completamente diversa. Sostituisco la fame con i postumi di un’indigestione. Decido di non focalizzarmi sulla descrizione emotiva del mio status ma lo utilizzo come filtro per guardare il reale. Come mi appare questa volta il mio piatto di pasta? Sarà una porzione abbondante come quella che ho mangiato ieri sera? O sarà ridotta al minimo per la legge del contrappasso? Con la pancetta o senza?
Se invece sono arrabbiata per il furto dell’auto potrei essere preda di una fame ossessivo-compulsiva. Il mio piatto di maccheroni allora diventa un piatto di pasta, non m’importa quale, purché si possa mangiare, il sugo è un sugo, anzi, la passata di pomodoro versata nel piatto direttamente dalla bottiglia. Niente tovaglia o tovaglietta. Un piatto sul tavolo nudo. Meglio ancora, un piatto in mano davanti alla tele.

Ecco quindi che il cerchio si chiude e io ho scritto comunque, anche se all’inizio credevo di essere dell’umore sbagliato.

Finora ho parlato della scrittura considerandola come una passione "passatempo". Nel prossimo post faccio un passo in più e vi parlo di come questo cambio di prospettiva è indispensabile quando si deve scrivere, ossia quando si scrive per lavoro.

Alla prossima!

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11 marzo 2011

L'estetica del font. Composizione tipografica manuale o digitale?

Comporre a mano al tempo dell'ebook: dal blog Who's the Reader un ottimo spunto di riflessione sull'importanza, ancora attuale, della composizione della pagina.
Per non perdere la bellezza e il piacere di un font "tradizionale" in un mondo completamente digitale.

8 marzo 2011

Luce nel buio dalle pagine di un libro

Oggi è stata una brutta giornata. Proprio brutta. Di quelle in cui sembra che la terra si sbricioli sotto i piedi e ti senti inghiottita nel baratro. Capita.
Quando succede, svuoto la mente, mi metto davanti agli scaffali della mia libreria e mi lascio ispirare.
Stasera la mano si è diretta verso il libro di Carol Adrienne, Lo scopo della tua vita, uno dei libri che mi sono più cari e che porterei sempre con me.
L'ho preso, mi sono seduta sul letto e l'ho aperto a caso. All'interno contiene delle citazioni. Ecco le due che sono uscite.

"Il futuro non deve essere necessariamente una ripetizione del passato. Sovente siamo frenati da una scarsità di immaginazione che concepisce il futuro soltanto come rimpasto di eventi o esperienze passati che già ci sono noti.
Persistere nel tentativo di spiegare l'ignoto nei termini di ciò che conosciamo può condurre a una cieca ripetizione di schemi insoddisfacenti che limitano la crescita e restringono le possibilità".

Frances E. Vaughan, Risvegliare l'intuizione, Cittadella, 1986, p. 195

"Credo che la felicità e la gioia siano lo scopo della vita.
Se sappiamo che il futuro sarà molto buio o doloroso, perdiamo la nostra determinazione a vivere. Perciò la vita è qualcosa che si basa sulla speranza... Una qualità innata tra gli esseri senzienti, particolarmente tra gli esseri umani, è il bisogno o la forte inclinazione a incontrare o a provare la felicità e ad evitare la sofferenza e il dolore. Dunque l'intera base della vita umana è l'esperienza a vari livelli della felicità. Raggiungere o provare la felicità è lo scopo della vita. "

Sua Santità il Dalai Lama

Che sospiro di sollievo!!

5 marzo 2011

Progettare il cambiamento


“Un fatto è lasciare il lavoro, un fatto è perderlo o, peggio, fuggire. Distinzione piuttosto significativa. […]

Io sono sempre stato convinto che la felicità sia come un pranzo al sacco, di quelli che mettiamo nello zaino al mattino per poi andare a fare una bella scampagnata: ce la portiamo dietro di noi, da casa, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo. Alla felicità non andiamo mai incontro, non la troviamo a destinazione. Non sono i luoghi a renderci tristi e demotivati, o felici e pieni di allegria. Siamo noi a essere felici o tristi in quei luoghi (spesso rendendoli tristi o felici intorno a noi)! […]

Se si prova il bisogno di fuggire, beh, la cattiva notizia è che dobbiamo restare lì e lavorare fino a essere in equilibrio lì, cioè fino a invertire la rotta del nostro mondo senza mutare il mondo intorno a noi. […]

Non si va incontro all’esercito avversario col cuore di chi ha appena perduto la sua ultima battaglia. Non è un buon viatico. Non sarebbe felice, non sarebbe sereno chi affrontasse un’avventura nuova e impegnativa come una rivoluzione della propria vita e delle regole che la determinano, pensando (a torto o a ragione) di aver fallito nella vita precedente. […]

Prima dobbiamo rialzarci, fare bene un altro tratto di strada, rasserenarci e poi, semmai, cambiare. […]

Io ricordo un periodo difficile sul lavoro, e non facevo che pensare di mollare tutto. Stavo cercando una via di fuga, non stavo progettando il cambiamento. Nei momenti in cui riuscivo a essere sincero con me stesso, capivo che era voglia di evadere, di tirare la saracinesca per non vedere più i miei problemi. E questo non è cambiare, progredire, bensì essere esauriti”.

[Il grassetto è mio]

Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere, 2009, pp. 78-82

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Adesso basta

4 marzo 2011

Adesso basta


Spinoso. Parlare del libro di Simone Perotti è decisamente spinoso. Ma ci provo ugualmente perché, se preso dal verso giusto, è un testo soddisfacente. Ripeto, basta saperlo prendere.
In caso contrario non avrei nessun timore a definirlo fastidiosamente ipocrita.
br> Parto dal titolo, anzi, dalla copertina, un capolavoro di marketing strategico: le due parti del sottotitolo (corpo identico, maiuscolo, bianco su campo verde mare) accuratamente poste come apertura e chiusura di copertina, il titolo (stesso stile dei sottotitoli ma di corpo più grande) ben leggibile nella parte alta della pagina. Questo è “l’ordine di comparizione” dei tre elementi:

- Lasciare il lavoro e cambiare vita
- Adesso basta
- Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta

Niente da dire, un inizio che invoglia (tra parentesi, il nome dell’autore, in corsivo, bianco su campo blu, quasi scompare, si nota appena, apparentemente appoggiato lì con noncuranza).

Presi all’amo da tanta semplice complessità si passa a leggere la quarta di copertina, con relativa recensione: “Ne abbiamo abbastanza. Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti, ma come uscirne? Cambiare vita da soli sembra una scelta troppo faticosa. Addirittura impossibile. Invece no. Il downshifting (“scalare marcia, rallentare il ritmo”) è un fenomeno sociale che interessa milioni di persone nel mondo (complice anche la crisi). […] La rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi […]”.

Sublime. Puro marketing. Ci sono tutti gli elementi per farci dire di sì (eh, la persuasione è un’arte).
Avete notato come la parolina magica (“crisi”) viene inserita con apparente indifferenza per sfruttare l’incertezza del momento? E come si fa leva sul numero (“milioni”, una parola che evoca non ben identificate moltitudini di persone, oltre che di soldi) per stimolare inconsce reazioni? E poi la chicca finale, l’autonomia e… la tanto anelata libertà.

Peccato che poi tutte le belle promesse della quarta svaniscano come neve al sole. Perché l’autore non solo è stato un manager per 19 anni (cosa citata in toccata e fuga nella penultima riga della biografia in quarta, accuratamente infilata dopo un elenco di libri pubblicati – ecchissenefrega se è anche uno scrittore – progetti web e, cito, “qualche altro lavoro occasionale”), ma è stato uno dei dirigenti più attivi (e strapagati aggiungo) della “Milano da bere” degli anni ’80. Il classico “giovane rampante intraprendente” che fa “balzi da gigante nei debutti in società”, come cantava all’epoca un giovane Luca Barbarossa (almeno da quello che emerge leggendolo).

Facile la vita così! Vallo a dire a chi deve vivere con mille euro al mese (se non di meno) che fare il downshifting è possibile! A chi magari non ha nemmeno una laurea, figuriamoci uno o più master (come presuppone l’autore). O a chi la laurea ce l’ha ma vive di co.co.pro! E te lo dice pure che il suo libro è dedicato a chi guadagna almeno 3.500 euro (netti) al mese!!

Ecco. Siamo arrivati al giro di boa. Se ci si ferma qui, “arrogante, antidemocratico, urticante, irritante, indisponente” sono solo alcuni degli aggettivi adatti a descrivere questo libro.
Ma se si riesce a sospendere il fastidio e a dimenticarsene per un po’, se si riesce a leggere le parole per quelle che sono, senza pregiudizi di casta, oh, allora si scopre tutto un altro mondo!
Perché l’idea di fondo è veramente buona, perché Simone Perotti ha l’onestà intellettuale di dire le cose come stanno, con molta chiarezza, e mette in guardia contro i pericoli delle approssimazioni e della superficialità. Perché il suo piano strategico è ben studiato, è lungimirante e accettabilissimo anche per persone non particolarmente agiate. E offre molti spunti decisamente interessanti.

Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere, 2009

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Progettare il cambiamento

3 marzo 2011

E-book anche senza e-reader

Per chi ha voglia di sperimentare un e-book ma non ne ha altrettanta di comprare un e-reader, o almeno non prima di aver provato ;)

Come leggere un ebook senza un e-reader?

1 marzo 2011

Recensioni

Oggi ho inaugurato questa nuova categoria, nata in un modo speciale.
Vi racconto la sua storia.

Uscire da un coma non è facile, riprendersi la propria identità (ammesso di ritrovarla) lo è ancora di meno, accettare il fatto che una parte di te non esiste più richiede una notevole dose di coraggio, convincersi a priori che ci sarà qualcos’altro a sostituire quello che è andato perduto è quasi ai confini della realtà, trovare la strada di casa e tornare padroni della propria vita è classificabile nella sfera del miracoloso. Eppure è possibile.

Io sono fortunata perché a me è successo due volte. La prima volta è durissima, perché ancora non sai, ma la seconda a confronto è una passeggiata, perché almeno sai cosa fare. Non sai il come (troppo facile no?) , ma almeno il cosa lo sai.
“Se ho ritrovato me stessa una volta, posso farlo anche la seconda”. E così è stato.

Qualche post fa dicevo che per me è stata un’esperienze molto creativa, perché sono eventi che ti mettono di fronte a un dato di fatto: se vuoi uscirne devi vincere sulle tue paure, rimboccarti le maniche e ricominciare. Da zero. Devi reinventarti. Prendere o lasciare. E siccome sei tornato qui sulla terra invece di disincarnarti, un motivo ci sarà. Io ho accettato la sfida.
Riprenderti in mano la vita significa accettare consapevolmente la responsabilità di recuperare le parti di te che sono sopravvissute, decidere se vanno ancora bene o se devono essere trasformate, cercare con costanza e pazienza quelle nuove (che ci sono, ma che tu ancora non vedi) riconoscerle come tue (e vi garantisco che a volte è dura), sentire che ti appartengono (e per questo ci vuole tempo) e accoglierle, coltivarle, ascoltarle, accudirle, dare loro spazio e respiro, fino a farle emergere completamente. E poi via, a miscelarle con quelle vecchie, adattarle, levigarle, combinarle in vario modo per vedere come funziona, sperimentare se un accostamento è migliore di un altro.

Le recensioni sono state il mio nuovo inizio. Di una cosa sono contenta. Che non ho mai perso il piacere e la voglia di scrivere. Ma ho dovuto riscoprirla e andarla a stanare da quella stanza buia in cui si era nascosta, nei recessi più profondi dell’anima.
Non ho più scritto per molto, moltissimo tempo. Ma ho letto. Tante cose: articoli, riviste, libri. Anche blog ovviamente.
Uno solo però è riuscito a entrare come un raggio di sole nella stanza buia. Si è infilato in un pertugio piccolo piccolo, ma ha illuminato e riscaldato.
E man mano che lo leggevo mi emozionavo di nuovo e riprendevo fiducia, nella scrittura, nel potere delle parole, nella forza delle emozioni, nella vita contenuta in quelle frasi, messe proprio in quel modo e non in un altro dei miliardi di modi possibili. E il pertugio è diventato fessura e la fessura spiraglio e lo spiraglio passaggio, finché un giorno la porta si è aperta e la stanza è stata inondata di luce. E ho scritto la mia prima recensione. E poi la seconda e la terza. Che soddisfazione!

Perché le recensioni? Perché l’amico blogger scrive delle recensioni speciali, e sono speciali perché c’è il suo cuore lì dentro. E si sente. Parole che incantano.
Le ho lette tutte, una dopo l’altra.
E ho imparato, tanto. Ho imparato a sintonizzarmi su quella frequenza, nuova per me che non mi sono mai cimentata con questa particolare forma di scrittura, ho imparato a riconoscere e valutare elementi a cui prima non davo importanza, attraverso di lui ho imparato a capire meglio cosa mi aspetto io (e/o un lettore) da una recensione.

È stato uno stimolo molto forte. E il seme ha iniziato a germogliare. Così un mattino mi sono trovata a scrivere una recensione. Breve. Niente di che. Ma l’avevo fatto. Dopo mesi di oblio avevo rimesso in moto le mie dita indolenzite su una tastiera. Se non ci fossero state le recensioni probabilmente non sarei tornata qui.

Ecco quindi come è nata questa sezione. Per ora penso di pubblicare solo recensioni “a tema”, ma non è detto che poi non ci prenda la mano e allarghi l’orizzonte.

Non mi resta che lasciarvi con un augurio di buona lettura.

Al prossimo post!

Scrivi e scopri te stesso

Lo confesso: ho iniziato questo libro con scetticismo. Due gli elementi che mi hanno tratta in inganno: il titolo e il sottotitolo. Ora vi spiego perché invece questa è un’opera pregevole, che consiglio anche a chi non è particolarmente attratto dalla scrittura (più o meno creativa).

Ho acquistato il volume una decina d’anni fa, incuriosita forse proprio dal titolo. Solo l’altro giorno però mi sono decisa: un bel sospiro e ho aperto la prima pagina. E poi la seconda, la terza… Ed ecco che man mano che procedevo mi accorgevo che c’era qualcosa di diverso da quello che mi aspettavo.
Innanzitutto il titolo (italiano): Scrivi e scopri te stesso. Un sapore (vagamente) psicoanalitico, o quantomeno intimistico, un po’ diario personale, un po’ scrittura psicoterapica. Impressione confermata dal giudizio della quarta di copertina, vago quanto basta, in bilico tra “sviluppo personale” e “uso creativo del linguaggio”. Altro vestito, solita storia. E invece no.

Il titolo dell’opera originale è Write for Life (Scrivere per vivere, come spiega l’autrice stessa a p. 51 dell’edizione italiana parlando proprio dell’influenza spesso trascurata delle parole). Ecco un sapore del tutto diverso, il sale che salva la pietanza. Si scopre una poetessa e scrittrice che ha fatto dello scrivere non solo una professione, ma uno stile di vita; una donna che trasmette e tramanda “la scrittura” da 25 anni con questo credo: “Ai miei studenti non insegno un metodo, ma la possibilità di un metodo adatto a loro” (p. 13). Una donna che sa trasmettere passione e rigore, con un linguaggio talmente amicale che sembra di conoscerla da sempre.

Non un classico manuale, quindi, come vorrebbe far credere il sottotitolo italiano (che nella versione originale manca) Guida pratica alla scrittura creativa, né una “guida” alla web 2.0; niente scorciatoie o nuove teorie e nemmeno noiose indicazioni didattiche. La vita. “Semplicemente”. La sua. I suoi pensieri, il suo esempio, parola dopo parola.

Certo, gli esercizi ci sono (alla fine di ogni capitolo più un’intera parte finale di “modelli” di riferimento), ma passano quasi inosservati: chi li vuole vedere li legge e li usa, altrimenti si passa oltre. È bello lo stesso.
Perché qui non si impara tanto il “come” o il “cosa”, ma il “perché”, l’essenza dello scrivere. Senza troppe sovrastrutture o falsi idealismi. E solo dopo aver capito profondamente il senso, ci si rende conto che il “cosa” e il “come” hanno un valore diverso da quello che si credeva.

Nicki Jackowsska, Scrivi e scopri te stesso. Guida pratica alla scrittura creativa, Mondadori, 2000

28 febbraio 2011

Fuoco sacro – 3

Quando evitare le definizioni "è cosa buona e giusta"

Ossia in questo caso. Non ho alcuna intenzione di infilarmi in quel ginepraio (tanto di moda) che è diventato il dibattito su scrittura creativa, scrittori, come diventare cosa e via dicendo. Grazie mille, passo! Che di guru della definizione ne abbiamo già tanti.
Anche perché, per inciso, mi sento più affine al versante saggista-giornalista che non a quello narratore-poeta.

Sapete che vi dico? Forse uscire dal coma, con tutto il lungo processo rigenerativo che implica la guarigione (un vero e proprio ricostruirsi, cominciando pressoché da zero), mi ha fatto vedere il “mondo scrivere” con occhi più chiari. E sempre più spesso quello che leggo in giro mi sembrano dibattiti vuoti, che non portano a nulla. Sarà perché ho eliminato i fronzoli, le zavorre, le sovrastrutture. Sono tornata all’essenza, al nocciolo, alla quidditas (che ha un suono fantastico, ma che quando me la spiegavano a scuola ero sempre lì lì per capire e poi, zac, il senso mi sfuggiva ogni volta). Al “sugo del sale”, per dirla con Guccini.

Non critico il confronto o il dibattito. Reputo ancora essenziale riflettere sulle cose, interrogare, mettere in discussione, sfidare, cercare, approfondire. Continuo a pensare che riflessione, ricerca e introspezione siano ottimi strumenti quando ci aiutano a procedere nella nostra evoluzione personale, qualunque essa sia, e che diventino pericolosi quando invece ce ne allontanano.
Quello che però sento molto vivo - e che mi sforzo di far emergere piano piano per dargli respiro - è il senso pratico delle cose. La teoria senza la pratica rischia di essere solo vuota speculazione, esercizio mentale fine a se stesso. D’altra parte anche la pratica senza la teoria è zoppa.

Se dovessi scegliere un motto, ora sarebbe “Sperimentare e recuperare il gusto del fare”. Ecco perché in questo momento per me, prima di tutto, è importante fare qualcosa per il solo piacere di farlo, sentire scorrere sotto la pelle quel brivido eccitante e seducente che dà il “mettere mano” a qualcosa che appaga. Questo alla fin fine è il “fuoco sacro”. Nulla più.

E, checché se ne dica, è un fuoco che non si spegne. Può affievolirsi, covare nella cenere, restare sopito. Ma non si spegne. Se è inerte va risvegliato e alimentato, se è prorompente va incanalato e guidato.
Ci sono volte in cui va riconosciuto o scoperto e altre in cui invece ha bisogno di crescere e maturare. Ecco allora che, da questa prospettiva, lo spirito di ricerca, la discussione, il confronto e il dibattito acquistano un senso, diventano un modo per evolvere, sviluppare le proprie capacità, conoscere nuove idee, esplorare nuovi percorsi, per migliorare se stessi e l’ambiente in cui viviamo. Un giorno alla volta.

Ordunque, rivista la mia scala di valori, sfrondato i rami secchi, recuperato una visione limpida, eccomi qui a cercare di miscelare concretezza e idealismo in una ricetta diversa. Se migliore o peggiore non so, non l’ho ancora sperimentata. Si vedrà. Ma è una ricetta che cresce con me e se trovo un nuovo ingrediente da aggiungere all’ultimo momento… e sia. Senza troppe fisime.

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Fuoco sacro
Fuoco sacro - 2

27 febbraio 2011

Se non c’è gioia, non va bene


“Quando aveva circa sette anni, mio figlio Owen si innamorò della E Street Band di Bruce Springsteen, in particolare di Clarence Clemmons, il corpulento sassofonista. Owen decise che avrebbe imparato a suonare come Clarence. Io e mia moglie ne fummo divertiti e compiaciuti. […]
Per Natale regalammo a Owen un sax tenore e un corso di lezioni con Gordon Bowie, uno dei musicisti della nostra zona. […]

Sette mesi più tardi proposi a mia moglie di sospendere le lezioni di sax, se Owen fosse stato d’accordo. Lui lo fu, e con palpabile sollievo. Non aveva avuto il coraggio di confessarlo, visto che era stato proprio lui a chiedere il sax, ma sette mesi gli erano bastati perché si rendesse conto che, per quanto amasse il suono potente di Clarence Clemmons, il sax non era cosa per lui: Dio non gli aveva donato quel particolare talento.
Io lo sapevo, non perché Owen avesse smesso di esercitarsi, ma perché lo faceva solo nei periodi che gli aveva assegnato il signor Bowie: mezz’ora dopo la scuola per quattro giorni la settimana, più un’ora durante il weekend.
Owen aveva imparato le note e le scale, non gli mancavano memoria, polmoni e buona coordinazione tra occhi e mani, ma non lo avevamo mai sentito partire per una tangente, sorprendere se stesso con qualcosa di nuovo, bearsi della propria musica. E appena finiva gli esercizi, lo strumento ritornava ne suo astuccioe lì restava fino alla prossima lezione o alla prossima esercitazione. Ciò che ne deducevo io era che tra il sax e mio figlio non si sarebbe mai stabilito rapporto di gioco; sarebbe stato per sempre un provare e riprovare. Non bene. Se non c’è gioia, non va bene. È meglio dedicarsi ad altro, dove le scorte di talento siano superiori e sia più alto il grado di divertimento.

Il talento toglie significato all’idea stessa di esercizio; quando si trova qualcosa per il quale si ha talento vero, la si fa (qualunque cosa sia) fino a farsi sanguinare le dita o cascare gli occhi dalla testa. Anche se non c’è nessuno ad ascoltare (o a leggere o a guardare), ogni sessione è un’esibizione di bravura, perché il creatore ne è felice”.

Stephen King, On Writing, Sperling&Kupfer, 2001, pp. 145-146

[Il grassetto è mio]

Fuoco sacro – 2

Quando fare non è essere. Perché se sei, fai, ma se fai, non necessariamente sei.

Complicato? Forse un po’.
Rifaccio.

Fare lo scrittore, ossia fare “la persona che scrive”, non è sinonimo di essere uno scrittore, ossia essere “una persona che scrive”.
Niente filosofie, non temete. Vado subito al sodo. La pratica e il “fuoco sacro” (titolo di questa miniserie di post).

Ho deciso di cominciare con un’esperienza “presa a prestito”, ma lascio a voi scoprire il perché. Sicura che la straordinaria icasticità di Stephen King e del brano che ha dato voce alla mia riflessione faranno la loro parte. Eccolo.

Questo per me è essere. Se fai con gioia è perché sei. E te ne infischi se qualcuno dice il contrario, perché tu sai.

Se percepisci con ogni singola cellula che nel fare “quella cosa lì” stai realizzando te stesso, se facendola, o pensandola, o progettandola, il tempo vola senza che te ne renda conto, se ti dà serenità e ti diverti nel praticarla e magari all’improvviso scoppi a ridete di gusto, se non vedi l’ora di dedicarti a questa attività e ogni momento è buono, se riesci a sentire di essere nato per “quella cosa lì”, qualunque cosa sia, allora sei sulla strada giusta, quello è il tuo “talento". Non ignorarlo. Mai. Perché seguendo il tuo dono troverai te stesso.

A me succede quando scrivo. E quando cucino, monto mobili, cammino, medito o…

Alla prossima puntata per il seguito :)

26 febbraio 2011

Fuoco sacro

Sono ispirato e quindi scrivo. Ma anche no.

Dedicato a chi l’altro giorno mi ha detto: “Non sono ispirato, non sono nella condizione giusta, non riesco più a scrivere”.
Nei miei discorsi ancora un po’ sconnessi, quando le parole incespicano l’una sull’altra e corrono tutte insieme come i bambini all’uscita da scuola e si urtano e si spingono e si intralciano tra loro in un’allegra baraonda, forse non sono riuscita bene a esprimere cosa volevo dire. Lo faccio qui, così magari serve anche ad altri.

Il concetto era più o meno questo: per scrivere non serve essere ispirati. Lo si fa e basta. Come mangiare, dormire, coccolarsi o fare la cacca (sì anche quello, perché fare la cacca – e lo ripeto con grande gusto - è importante), anche se io personalmente trovo più giusto il paragone scrivere = meditare.
Il piacere di scrivere prima di tutto sta nell’atto stesso di mettere le lettere una dietro l’altra. Il cosa e il come - e magari anche il perché - vengono dopo.
Ma siccome capisco che se uno non lo ha (ancora) sperimentato potrebbe trovarsi un po’ disorientato, espando il mio pensiero.

L’ispirazione è un espediente, un alibi, una scusa, a seconda del lato da cui la si guarda.
Certo, all’inizio potrebbe sembrare una cosa del genere: sono ispirato e quindi scrivo (del resto il “fuoco sacro” emerge appena può, da una fessura stretta o da un varco aperto trovando sempre una strada per esprimersi). Certo, spesso il “fuoco sacro” si sprigiona sotto la spinta di una forte emozione - e allora è dirompente, vitale, energia allo stato puro, ma, come tale, poco controllabile, e quindi poco replicabile. Alla fin fine è lui che comanda.
E si ritorna al punto di partenza. Scrivo se e quando sono ispirato, altrimenti nulla.

Quindi? Serve un cambio di prospettiva. Ribaltando il rapporto di causa- effetto. Ecco come.

A ben guardare non è mai il mondo esterno che influenza il nostro agire, ma è sempre il contrario, anche se quasi mai ce ne rendiamo conto.
Soffermiamoci solo un minuto. Succede un fatto, mi provoca un’emozione, ne scrivo (spesso d’istinto, senza pensarci su troppo). E se non succede nulla?
Proviamo allora a considerarla in questo modo: l’evento esterno è un espediente, uno strumento che entra in risonanza con qualcosa che già esiste dentro di me e che lo mette in moto, lo accende. Ma – lo ripeto – il combustibile è dentro di me, non fuori, ed è sempre a disposizione.
Ora facciamo un passo in più. Se io possiedo già il combustibile e so che un evento esterno funziona solo da miccia, allora posso procurarmi da sola la miccia che più mi si addice, senza aspettarne una “casuale”. E può essere una miccia esterna ma, a questo punto, perché no?, anche interna.
Ecco che allora non ha più importanza la natura dell’evento, perché il processo ora è passato da fuori a dentro. In altre parole, ora ho imparato a manifestarlo attingendo a qualcosa già presente in me.
Decido che ho voglia di scrivere e lo faccio. Non importa di cosa parlo (non subito almeno: ovvio che se uno lo fa di mestiere, il cosa e il come hanno un certo qual peso, ma questa è un’altra storia). È finita la carta igienica? Mi si è allagata la cantina? Non so cosa cucinare? Sono immobilizzata e non posso muovermi? Tutto va bene, perché ora sono io che mi auto-alimento, mi auto-stimolo, in un processo potenzialmente perpetuo e quindi, appena inizio a “buttare giù” quello che mi passa in testa, tutto prende forma e significato. E si illumina. Di me e con me.

Facendo così mi rendo libera, perché tolgo la dipendenza da cause esterne, recupero autonomia, aumento la mia consapevolezza. E mi apro: al mondo, alla vita, al flusso di energia, al “fuoco sacro”. Ed eccomi al punto. Lo vedete? Ora sono io che ho acceso il “fuoco sacro”. Ho ribaltato la situazione. Mi sono messa in movimento, sono diventata dinamica. Il “fuoco sacro” è diventato un amico e scrivere non è più un problema.

Solo capendo che l’ispirazione è parte di noi, una risorsa, disponibile in ogni momento, con cui collaborare e non da cui essere dominati o dominare (che poi per certi versi è la stessa cosa perché implica una disparità delle parti, una prevaricazione), allora si riesce a dare un senso a quella strana cosa che si chiama “scrivere”. Che ovviamente non è solo tracciare simboli sulla carta, sulla sabbia o sul monitor di un device digitale, ma che parte comunque da un semplice gesto: mettere “nero su bianco” qualcosa che vibra dentro di noi e che chiede di essere espresso. Sul fatto che poi scrivere sia qualcosa di personale che ha un gusto e un sapore diverso ogni volta e diverso per ognuno siamo tutti d’accordo. Ma tutto nasce da dentro di noi. Una lettera dietro l’altra.

Per ora mi fermo qui. Un po' di pazienza fino al prossimo post, perché ho ancora qualcosa da dire ;)

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Scintille di saggezza

25 febbraio 2011

Fermo immagine

"Scrivere è tirarsi su, mettersi a posto e stare bene. Darsi felicità, va bene? Darsi felicità".

Stephen King, On Writing, Sperling&Kupfer, 2001, p. 276

Tornare a vivere

Il buio. Il silenzio. Più nulla. Un incidente.
L’oscurità che brilla, il silenzio che canta. Il risveglio.
La luce che torna, il suono che avvolge. La guarigione.

Reinventarsi. Da principio. La sfida più grande.
Voglio provarci ancora. Voglio tornare a vivere. Qui. In un modo nuovo.

Sono tornata. Sono fuori dal coma. Ho un nuovo nome: Sole.